Inutile negarlo, Roma è una città da bestie

Ratti ovunque e non solo ratti. Ci sono anche i cinghiali, stanno arrivando i lupi, le pecore e le vacche. La fauna romana si accresce ogni giorno. E non è un caso che questo accada con la giunta Raggi

Noi li guardiamo, li scrutiamo, ci lamentiamo. Ma a Roma anche le bestie ci guardano, ci scrutano, ci seguono. Girovagano a loro agio fra le buche e l’immondizia. Anzi, cercano le buche per farsi un bagno nelle pozzanghere e frugano nell’immondizia per trovare qualche buccia di banana da mangiare. Le buche possono diventare vasche, abbeveratoi, nidi, l’immondizia una dispensa piena di scorte illimitate. Non c’è un unico mondo che comprende tutte le specie viventi ordinate gerarchicamente, dalle forme elementari agli organismi superiori, ci sono un’infinità di mondi collegati fra loro ma reciprocamente esclusivi. Il ragno non sa nulla della mosca eppure prende le misure per costruire le maglie della sua tela. Camminando per Roma si ha questa sensazione. Nessuno sa niente degli altri ma tutti prendono le misure. I topi portano malattie. I piccioni pure. I gabbiani sporcano. Anche i corvi. I cinghiali sono aggressivi. Pericolo.

Niente a che vedere con Los Angeles. Nelle strade della gemella ideale di Roma gira indisturbato P-45, un maschio di centocinquanta chili dagli occhi dorati (la P deriva da Puma concolor, la specie che include puma, pantera, gatto, leone di montagna). Los Angeles è una delle due megalopoli al mondo abitate da grandi felini – a Mumbai, l’altra, i leopardi vivono nel Sanjay Gandhi National Park e occasionalmente divorano (preferibilmente smembrano: questi gattoni non uccidono per fame ma solo per piacere) gli umani che costruiscono le loro case ai margini del parco. Anche se ci sono stati casi di puma che hanno assalito persone in California (tra il 1986 e il 2014 tre attacchi fatali) non è mai successo nella città degli angeli. Le vittime preferite dei puma losangelini sono infatti capre, pecore, lama, cavalli, gatti e chiwawa dei ricconi sulle Hollywood Hills. Qualche giorno fa, a Seattle, però, due ragazzi sono stati attaccati da un puma mentre andavano in bici in un bosco: uno è riuscito a fuggire con pezzi di gamba penzolante mentre il felino era impegnato a spezzettare l’altro. Altro che i nostri topi, corvi, cinghiali.

I gatti sono passati di moda, con il loro fare romantico, sonnacchioso, ammaliante, erano più adatti ad altri sindaci, e sono stati abbandonati al loro destino fra le rovine

La nuova passione dei romani sono i cinghiali. I gatti sono passati di moda, con il loro fare romantico, sonnacchioso, ammaliante, erano più adatti ad altri sindaci, e sono stati abbandonati al loro destino fra le rovine. Il primo avvistamento di cinghiali in ambito urbano risale al marzo 2016: un giovane esemplare aveva preso l’abitudine di girare per le aree verdi della zona. Dai parchi di campagna è arrivato ai giardini condominiali ed è diventato la mascotte del gruppo Facebook di Spinaceto. Poi sono stati avvistati e adottati in altri posti, da nord a sud della capitale, da Montemario alla Giustiniana. Le bestiole grufolanti non sono cinghiali maremmani ma sono più grandi, prolifici, affamati – vengono dall’Est Europa ma sono accettati dalle persone del quartiere più dei loro connazionali umani. Girano video sui social in cui si vedono bambini che gli danno da mangiare e li accarezzano senza timore, signore che li portano in giro con il guinzaglio e gli fanno fare capatine nei negozi. In qualche recesso della loro mente sanno che quelle zanne potrebbero trafiggere senza pietà le loro carni ma sono fiduciosi. Anche se ontologicamente pericolosi, i cinghiali sono come addomesticati dalla potenza di Roma. Tutti sanno, anche i bambini, che Roma è magica e trasforma perfino l’animale più feroce in un animale domestico: se sei arrivato fino a qui sei automaticamente parte della famiglia. Roma possiede il tocco alchemico, rende i cinghiali cagnetti, le pecore tosaerba, i rospi principi. I puma di Los Angeles potrebbero arrivare sbavanti e affamati alle porte della città, appena varcate inizierebbero a mangiare margherite e a fare le fusa.

A Roma abbiamo una varietà di specie da far invidia a certe aree protette. I birdwatcher troverebbero pane per i loro denti. Dagli uccellini agli uccellacci che, ogni mattina, ci svegliano con il loro cip cip o le loro gracchiate mischiate ai clacson. Una colonna sonora naturale continua composta da 78 sonorità diverse (Roma nidificano ben 78 specie). I gabbiani reali con i loro versi mentre frugano nella spazzatura, le cicale d’estate ovunque, i merli che non cantano più come merli, che per sovrastare i rumori e adattarsi hanno alzato il volume del loro richiamo di qualche decibel. Ma anche falchi pellegrini, gheppi, allocchi, picchi vivono fra tetti, anfratti, ville, monumenti. E i pappagalli verdissimi che volano sul parco della Caffarella e a Villa Pamphili, ma arrivano fino a Garbatella. Per non parlare delle nuvole di uccelli che si condensano al tramonto in disegni inquietanti come i fondi del caffè ma che vengono addomesticati dallo scroll infinito di foto e video postati sui social – meglio se dietro c’è pure il tramonto.

Tra i mammiferi abbiamo anche i ricci che divorano le lumache che infestano gli orti dell’Appia Antica, le volpi a piazza Cavour, gechi, lucertole, raganelle, rane e rospi smeraldini a Villa Borghese che mangiano le zanzare, le donnole che mangiano i topi che mordono i turisti in giro per Trastevere. Ma le donnole non sono abbastanza. Il classico ratto romano con la sua stazza specifica (grassoccio, unto, scoordinato), diversissimo dai ratti parigini (tutt’ossa, molto chic) o da quelli newyorkesi (pare abbiamo il pelo molto liscio), regna sovrano. I sorcetti della chiavica hanno conquistato scuole, giardini, tetti, piazze, senza nessuna difficoltà.

Il classico ratto romano con la sua stazza specifica (grassoccio, unto, scoordinato), diversissimo dai ratti parigini (tutt’ossa, molto chic) o da quelli newyorkesi (pare abbiamo il pelo molto liscio), regna sovrano

Ma abbiamo anche animali più nobili, come i granchi. In pieno centro. Nelle canaline di scarico sotterranee dei Mercati di Traiano, tra il Quirinale e il Campidoglio, nella valle che contiene i Fori Imperiali, vive una colonia di granchi fluviali: trascorrono le ore del giorno rifugiati in tane profonde scavate nel fango e di notte escono. Vedi un granchio in giro davanti a Montecitorio e strabuzzi gli occhi, ti stranisci, magari per un attimo ti dimentichi pure quello che devi fare. Lo spaesamento è un’arte. È come se guardarle tutta questa fauna che non semina, non miete, non ammassa nei granai ci facesse provare una gioia immotivata che non è dovuta al soddisfacimento di questo o quello, ma dall’essere presenti a se stessi, liberi dalla preoccupazione del domani. Non solo cervi a primavera, come cantava un Cocciante sentimentale, ma granchi tutto l’anno.

E la sindaca Raggi, attenzione, non è un sindaco fuori tema, lei è la signora degli animali, una regina che farebbe invidia a Cenerentola (con i suoi topolini infila-collane e gli uccellini taglia e cuci vestiti) e a Biancaneve (anche qui uccelli che fanno torte e cervi al suo servizio). Ma non le basta una corte del genere, vuole altri aiutanti. Ed ecco comparire pecore e capre tosaerba nei giardini e nei parchi della capitale. Adesso pure le mucche per l’erba troppo alta. Pecore, capre e mucche sono le aiutanti della Raggi come la Lupa lo è stata di Romolo e Remo. La storia si ripete. Per gli etruschi la Lupa era simbolo del signore degli inferi, mentre la lupa di foglie che hanno posizionato a piazza Venezia (piccolissima, si perde lì in mezzo) al posto di Spelacchio, non ha nemmeno la metà del carisma di mamma feroce. E nemmeno il carisma di Spelacchio, nonostante anche su di lei fiocchino battute sui social (su cosa non le fanno, ormai è il modo di comunicare preferito da tutti). Rinsecchita se ne sta lì, amorfa, in attesa di essere trasformata in una nuvola verde, informe. Invece resiste, imperturbabile, ancora in ordine dopo mesi: è uno degli oggetti più in ordine della capitale, ci sarà un mastro giardiniere che di notte va a potarla con cesoie di precisione. Sarà un presagio dei lupi che si stanno avvicinando sempre di più alle porte di Roma Nord, che da Castel di Guido stanno tentando l’avanzata per riprendersi il loro territorio. Forse. Sarà un presagio di un ritorno alla natura selvaggia di cui Roma da un bel po’ sembra farsi testimone, come se, mancando l’amministrazione e saltando un bel po’ di regole, tutto rientri in uno stato di eccezione schmittiano, in cui è sospeso il tempo giuridico della norma ed è aperto il tempo della decisione politica originaria, onnipotente, autonoma.

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