L’Italia può diventare una startup nation? Sì, se impariamo dalla Francia

Servono investimenti nelle imprese e nei talenti, proprio come sta accadendo in Francia in questi anni anche grazie al lavoro di Emmanuel Macron

“Fare dell’Italia la prossima startup nation”. Si intitola così un documento ancora disponibile sul sito del ministero dello Sviluppo Economico datato 2012: doveva contenere le linee guida per rendere l’Italia una cosiddetta nazione-startup, ovvero un Paese che basa il proprio sviluppo su un florido tessuto di aziende innovative.

A sei anni di distanza dobbiamo fare i conti con un pesante ritardo rispetto alle aspettative, eppure per avere un buon modello da seguire non sarebbe necessario andare nella Silicon Valley o in Israele (forse lo Stato che più si distingue per puntare sulle startup), ma basterebbe dare un’occhiata a cosa accade in Francia. È lì che, anche grazie alle politiche di Emmanuel Macron – oggi presidente della Repubblica, ma fino al 2016 ministro dell’economia, dell’industria e del digitale – si sta creando un ambiente ideale per la crescita di nuove aziende.

Per avere un buon modello da seguire non sarebbe necessario andare nella Silicon Valley o in Israele, ma basterebbe dare un’occhiata a cosa accade in Francia

Già in campagna elettorale Macron era stato chiaro, rivolgendosi direttamente agli investitori americani preoccupati dall’elezione di Donald Trump: “Venite in Francia, siete i benvenuti, è la vostra nazione. Noi vogliamo le persone innovative, le persone che lavorano sui cambiamenti climatici, sull’energia, sulle rinnovabili e sulle nuove tecnologie”. Il mantra era quello di voler rendere la Francia una “startup nation”, obiettivo da perseguire attraverso incentivi alle nuove imprese, nuove regole per il mercato del lavoro e un radicale cambio di mentalità.

Qualche esempio? Macron ha deciso di investire dieci miliardi di euro in Bpifrance, la banca pubblica di investimento che supporta le stratup. Denaro che va a rinforzare un progetto avviato nel 2011 che inizialmente foraggiava le imprese con circa 300 milioni di euro l’anno e che ora, dopo i 2,7 miliardi del 2016 e i 9 del 2017, sostiene le startup con assegni miliardari in doppia cifra.

Macron ha deciso di investire dieci miliardi di euro in Bpifrance, la banca pubblica di investimento che supporta le stratup

C’è di più: mai sentito parlare di Tech Visa? Si tratta di un “passaporto per i talenti” con il quale si concede la residenza per quattro anni a chiunque scelga di sviluppare la propria startup in Francia, magari trasferendosi con la propria famiglia. Il tutto, va da sé, con sgravi fiscali e tappeti rossi per far arrivare i migliori talenti da tutto il mondo, che magari potranno lavorare in Station F, un altro dei progetti della startup nation. Si tratta del più grande incubatore di startup del mondo, inaugurato alle porte di Parigi lo scorso anno, con l’idea di racchiudere in un luogo fisico migliaia di aziende, talenti, investitori.

Tutto questo sembra lontano anni luce rispetto all’Italia, ma a ben guardare non è così. I numeri da cui partiva la Francia prima dell’accelerata Macroniana non sono così diversi dai nostri: fino al 2014 gli investimenti francesi erano in linea con gli italiani, ovvero sulla soglia dei 300 milioni l’anno. E pur se con colpevole ritardo, nel nostro Paese stanno arrivando hub per startup e competence center. Non basta, certo, perché per diventare una startup nation bisogna attrarre investitori e talenti, incentivandoli attraverso un forte snellimento della burocrazia e un giro d’affari che deve crescere, anche grazie all’aiuto dello Stato.

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