Perché zittire le donne è un abuso di potere (se lo fa un uomo)

Qualcuno lo chiama "overtalking", è la dinamica di interrompere e non lasciare parlare le donne da parte degli uomini ed è molto più diffusa — e grave — di quanto ce ne rendiamo conto, spiega John Biguenet nel suo “L'elogio del silenzio”, edito dal Saggiatore

In un mondo che procede febbrile, snervante e caotico, sempre più spesso il silenzio sa esprimere meglio delle parole le passioni umane, dalle più esaltanti e virtuose alle più tristi. Nel silenzio possiamo riordinare i pensieri scossi dalla frenesia della quotidianità, trovare pace dopo aver subito delusioni o prevaricazioni; ma possiamo anche vivere l’angoscia dell’attesa, l’inquietudine dell’ignoto, lo spettro della solitudine. Il silenzio dei vili può coprire nefandezze e sopraffazioni, ma il silenzio dei forti può essere un gesto di estremo coraggio, di fiera opposizione alle lusinghe e alle minacce del potere. John Biguenet, drammaturgo e scrittore americano, nel suo ultimo libro L’elogio del silenzio, edito dal Saggiatore, ci ricorda che inseguire il fragile, utopico incantesimo del silenzio è oggi il modo migliore per prenderci cura di noi stessi e degli altri.

Di seguito, un estratto, dal titolo originale “Mettere a tacere”:

Eravamo ancora studenti quando io e mia moglie visitammo Firenze per la prima volta. Proprio quando il tramonto stava per tingere di bronzo l’Arno, trovammo un piccolo ristorante vicino alla pensione infestata di pipistrelli dove soggiornavamo. Marsha, essendo stata cresciuta da una nonna originaria di Viareggio, ordinò da mangiare in un italiano del quale il nostro anziano cameriere deve aver riconosciuto le inflessioni toscane. Si rifiutò, comunque, di scrivere alcunché sul suo taccuino fino a che, spazientito, la interruppe con un deciso «Signorina!», rivolgendosi quindi verso di me con aria interrogativa. Solo dopo che ebbi annuito, annotò la nostra ordinazione.

Tempo dopo, mentre cercavo di perfezionarmi nel mestiere di professore, lessi un articolo sulla tendenza degli insegnanti, sia uomini che donne, a interrompere le studentesse – ma non gli studenti – mentre rispondono alle domande. Io, ovviamente, mi consideravo esente da un simile comportamento sessista, finché non mi ritrovai a dovermi sforzare per trattenermi dall’interrompere le mie studentesse. Mi resi presto conto in maniera lampante che, quando prendeva la parola in classe una studentessa, dovevo stare molto attento a non interromperla fino a quando non avesse completato il suo intervento; poche, invece, erano le occasioni in cui mi dovevo sforzare per non interrompere uno studente durante la lezione. Anzi, in generale mi sono trovato sul punto di interrompere gli studenti maschi davvero raramente.

Se fossi stato anch’io una donna, forse avrei ottenuto una qualche rassicurazione nell’essere rappresentato da una ricerca che indica quanto più spesso si interrompono le studentesse. Invece, al di là del fastidio provato per questa rivelazione sul mio modo di insegnare, mi ha sconvolto il dover riconoscere che le mie studentesse avevano sopportato per tutta la loro vita un’educazione nella quale gli insegnanti hanno sempre interrotto le loro risposte, mentre ai compagni veniva data completa attenzione. Molto difficile poter credere che il comportamento di questi insegnanti, o di altre figure autorevoli e rispettate, non produca degli effetti permanenti in chi viene costantemente messo a tacere, sia tramite l’interruzione sia attraverso pressioni meno evidenti a rimettersi alle decisioni della controparte maschile.

Viviamo in un mondo in cui le donne vengono spesso messe a tacere, a volte anche in modo violento. Ma l’umiliante affronto di zittire le donne con nonchalance è un’esperienza talmente radicata nella nostra quotidianità che questi piccoli esempi di imposizione del silenzio su un altro essere umano – la brusca interruzione del cameriere o dell’insegnante – in realtà possono aiutare, anche meglio di casi più eclatanti, a chiarire quale ruolo abbia il silenzio nel mantenimento dell’attuale distribuzione del potere nella società. Considerando i limiti che un piccolo libro come questo impone al suo autore, mi trovo costretto ad «autozittirmi» e a fare un unico esempio (sebbene bisognerebbe scrivere volumi interi su questo argomento) di come le donne e, più in generale, tutti coloro lasciati fuori dai discorsi dei potenti vengano indotti al silenzio.

Analizzando una circostanza quotidiana in cui le donne vengono facilmente messe a tacere, ovvero quando si danno indicazioni stradali, le ricercatrici Bessie Dendrinos ed Emilia Ribeiro Pedro hanno dimostrato che c’è ancora molto da capire a riguardo.1 In un articolo che tratta la letteratura sul silenzio e il gender, Dendrinos e Pedro citano uno studio precedente il cui autore

fornisce dei dati che dimostrano come, durante i quotidiani incontri comunicativi con le partner, gli uomini esercitino il loro potere attraverso il silenzio. Il comportamento relativamente silenzioso dei mariti tende a zittire le mogli, che pertanto si sforzano maggiormente per cercare di mantenere l’interazione. Questi tentativi, però, vengono spesso turbati dalle frequenti «non risposte» dei partner che, nell’atto comunicativo, sono delle vere e proprie violazioni del «turn taking».

Dendrinos e Pedro affermano che, da un lato, il «potere viene spesso esercitato attraverso la parola», ma dall’altro, il «potere […] può essere anche esercitato attraverso il silenzio».

Viviamo in un mondo in cui le donne vengono spesso messe a tacere, a volte anche in modo violento. Ma l’umiliante affronto di zittire le donne con nonchalance è un’esperienza talmente radicata nella nostra quotidianità che questi piccoli esempi di imposizione del silenzio su un altro essere umano – la brusca interruzione del cameriere o dell’insegnante – in realtà possono aiutare, anche meglio di casi più eclatanti, a chiarire quale ruolo abbia il silenzio nel mantenimento dell’attuale distribuzione del potere nella società

Ai più alti livelli di potere, si preferisce il secondo caso. In Il filo della spada, riflessione sul potere del 1932, Charles de Gaulle scrive: «Rien ne rehausse l’autorité mieux que le silence, splendeur des forts et refuge des faibles». L’affermazione è piuttosto sorprendente, anche se perde qualcosa nella sua traduzione: «Niente rafforza l’autorità quanto il silenzio, splendore dei forti, rifugio dei deboli». De Gaulle, però, si spinge oltre: «Il silenzio è l’ultima arma del potere». Troviamo un significato simile di certo anche nella frase di Torniamo a Matusalemme (1921) di George Bernard Shaw: «Il silenzio è la più perfetta espressione del disprezzo». A ogni modo, al di là del disprezzo, le domande dei deboli e le richieste dei nullatenenti possono essere ignorate dai potenti impunemente. Anche Leonardo da Vinci è d’accordo: «Niente rafforza l’autorità quanto il silenzio». (Certo, quest’affermazione potrebbe stare a significare che il silenzio di chi subisce le leggi rafforza chi detta le leggi. Da un lato, da Vinci, sempre sotto il controllo di potenti mecenati, conosceva bene le strazianti lunghe attese perché un sovrano rompesse il suo silenzio e commissionasse un nuovo incarico.)

Quando si forniscono indicazioni stradali, quindi, sembra che colui che parla stia affermando il suo potere. Le ricercatrici sono giunte a queste conclusioni basandosi su trentaquattro esempi scelti in maniera casuale in cui una donna chiedeva indicazioni stradali a diversi gruppi di persone, in città e in piccoli paesini in Portogallo e in Grecia. Non sono state riscontrate differenze significative nelle risposte ottenute nei due paesi.

Sono emersi, però, dei dettagli interessanti relativi al genere. Quando le donne non erano in grado di fornire indicazioni, si scusavano. Gli uomini, invece, no. Nel dare le indicazioni, le donne usavano il verbo al futuro, mentre gli uomini l’imperativo. Gli uomini, inoltre, tendevano a ripetere. Il ruolo del silenzio, però, è stato l’elemento che, più chiaramente, ha evidenziato una differenza di genere.

Per esempio, le poche volte che sono state chieste indicazioni a una coppia di donne, «il ruolo dell’informatore veniva deciso» attraverso il contatto visivo. Quando, invece, si è trattato di gruppi di uomini, questi si parlavano uno sull’altro finché uno di loro emergeva e dava l’indicazione. In quasi tutti i gruppi misti, però, «erano gli uomini che, in definitiva, assumevano il ruolo di informatori». Le donne presenti o stavano totalmente in silenzio o venivano zittite. Se cominciavano a dare delle indicazioni, alla fine «erano costrette a rinunciare al ruolo di informatrici. Solo in un caso, quando l’uomo ha completato il suo turno, la donna ha confermato cosa aveva detto il compagno e ripetuto letteralmente la sua ultima frase». In altri casi, le donne che avrebbero potuto correggere le indicazioni sbagliate date dagli uomini, o sono rimaste in silenzio o, piuttosto che correggere direttamente, hanno posto delle domande per far ripensare alla correttezza delle indicazioni fornite.

Un caso piuttosto interessante si è verificato quando sono state chieste indicazioni a un piccolo gruppo di uomini fra i trenta e i quarant’anni:

Uno degli uomini ha risposto immediatamente e ha continuato, senza alcuna interruzione degli altri, a dare lunghe e complicate indicazioni. Una donna sui vent’anni, appena uscita da una vicina panetteria, ha ascoltato la confusa spiegazione ed è intervenuta per aiutare a chiarire meglio ciò che aveva detto l’uomo. Non appena ha cominciato a parlare è stata, però, interrotta dallo stesso uomo che aveva precedentemente parlato e che ora aveva cominciato a ripetere ciò che aveva detto poco prima. La donna, allora, è intervenuta nuovamente e le è stato concesso di completare l’informazione con le sue indicazioni concise e puntuali. A quel punto, un altro uomo che aveva assistito all’intera scena ha preso la parola con tono autoritario e a voce alta, come se la volesse correggere. In realtà, aveva semplicemente parafrasato l’informazione appena fornita dalla donna.

Nelle due occasioni citate in cui alle donne è stato concesso di fornire le indicazioni, gli uomini hanno comunque avuto l’ultima parola. C’è un esempio che mi ha ricordato la cena a Firenze di quasi mezzo secolo fa con mia moglie, e che riguarda una coppia di giovani: la donna della coppia aveva fornito alla ricercatrice delle indicazioni stradali molto semplici, ma «il suo compagno ci ha guardato e ha confermato: “Sosta. Sì, è giusto”».

L’anziano cameriere che rimproverò Marsha quella sera d’estate di tanto tempo fa avrebbe sicuramente apprezzato quel ragazzo.

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