Se si osserva la celebre immagine di Dorando Pietri che taglia il traguardo assistito da un ufficiale di gara (che no, non è Arthur Conan Doyle), si può notare un dettaglio interessante: il tappo di sughero che tiene nella mano destra.
Non è un caso: come si scrive qui, serviva a scaricare sulle mani il dolore della gara. Ma soprattutto, se bucato, veniva usato per bere champagne durante la corsa. Proprio così: i corridori di inizio secolo, prima di affrontare una maratona, ingollavano quantitativi di brandy, o champagne, o un mix di alcol e stricnina (prima che la si trovasse più adatta ad avvelenare i topi). Cocktail energizzanti, si pensava, cui alcuni aggiungevano anche un pizzico di cocaina, che teneva desta la mente, e un po’ di eroina, che alleviava il dolore. L’antidoping non esisteva nemmeno come concetto.
Gli esempi del resto non mancano. Nel 1896, all’inaugurazione dei Giochi Olimpici, il corridore greco Spiridon Louis si bevve a pochi chilometri dal traguardo un bicchiere di cognac, per darsi un po’ di energia. E vinse l’oro. Otto anni dopo, a St. Louis, toccò a Thomas Hicks, che durante il percorso si consolò con il suo personale miscuglio di brandy, stricnina e solfati in bianchi di uovo. Lo champagne apparve quattro anni dopo, quando Albert Corey, vincitore della maratona di Chicago, ne mandò giù qualche bicchiere.
E Dorando Pietri? Come è ben noto la sua vittoria venne annullata. A poche centinaia di metri dal traguardo ebbe diversi mancamenti. Cadde e fu raccolto. Gli venne massaggiato il cuore. Si rialzò e sbagliò direzione, in evidente stato confusionale. Alla fine fu scortato fino al traguardo perché non era in grado di reggersi da solo in piedi. Colpa della stanchezza? Forse. Ma è più probabile, come hanno ipotizzato alcuni, che fossero soltanto sintomi di avvelenamento da stricnina.