Irresponsabili. Cinici. Bugiardi, arroganti. Profittatori. Non abbiamo bisogno della vostra elemosina. Parlate così perché affondate nei debiti. Inadempienti. Eletti da forze oscure. Spie. Scrocconi aggressivi. Gente che sogna un mondo di ciclisti e vegetariani. Sono solo alcune delle accuse che si sono scambiati negli ultimi anni i leader europei. Non i loro portaborse, i loro sottoposti, i giornali loro amici, ma premier e presidenti, capi della diplomazia e primi ministri. La degenerazione dialettica del dibattito tra i rappresentanti dei singoli Paesi europei spiega bene perché l’Europa, all’improvviso, non riesca a trovare intese condivise su partite che sono sempre state gestite con ragionevoli compromessi. L’immigrazione, ma anche il bilancio comune o la difesa continentale (con l’ultimo “Patto dei Nove”, sottoscritto appunto solo da nove capitali).
Le conclusioni del Consiglio Europeo di sabato e domenica, che sostanzialmente hanno affidato alla buona volontà dei singoli Stati l’accoglienza di profughi e migranti, hanno evitato una rottura ma, al tempo stesso, sancito distanze non colmabili. L’espressione «distribuzione su base volontaria» usata per descrivere la nuova linea sui balseros del Mediterraneo rappresenta una resa più che una decisione. Di più non si può fare. L’idea di una gestione comunitaria del fenomeno finisce in qualche modo qui, arrendendosi alla narrazione muscolare e conflittuale che da tempo impegna molte premiership europee (e non solo quelle populiste).
Individuare la genesi di questa fase, il punto esatto in cui le elite europee hanno smesso di sentirsi legate da un comune destino e hanno cominciato ad azzuffarsi tra loro, scegliendosi ciascuna un nemico (per i polacchi, la Merkel; per gli ungheresi pure; per l’Italia i francesi; per i francesi gli italiani, e così via) non è facile. Fra il 2008 e il 2011 chi cercava il consenso popolare puntava piuttosto a demonizzare «le burocrazie europee», indicando un sistema più che un nome e cognome. Ma a un certo punto questo tipo di polemica – peraltro piuttosto fondata – non è sembrata più sufficiente, si è usurata, è diventata una lagna collettiva poco incisiva sull’opinione pubblica. Maledire l’Europa e l’euro non bastava più. Il nemico doveva avere una faccia.
Così, una frase dopo l’altra, un’invettiva dopo l’altra, la solidarietà formale e sostanziale tra le classi dirigenti europee è andata a farsi benedire, e le foto di gruppo dei 28 sono diventate come certe fotografie natalizie delle famiglie litigiose, dove tutti si danno un falso contegno per nascondere odi, lacerazioni, contenziosi ereditari
Lo scambio di insulti tra Emmanuel Macron e Matteo Salvini nella settimana del pre-vertice («Cinici e irresponsabili», «Arroganti bugiardi»; «Vomitevoli», «Sciacquatevi la bocca prima di parlare») non è che un episodio. Angela Merkel è da anni accusata dall’uomo forte della Polonia Jarosław Kaczyński di essere arrivata al potere grazie ai servizi segreti della Germania comunista per «reinstaurare il potere imperiale della Germania» e imporre il modello di un irenico liberalismo, «un mondo fatto di ciclisti e vegetariani», come ebbe a dire il ministro degli Esteri polacco. Il governo ungherese di Victor Orban ha avuto come nemici praticamente tutti i Paesi del Sud Europa, con speciale attenzione per Matteo Renzi e per gli imprenditori italiani «che si sono arricchiti a casa nostra, col lavoro dei nostri connazionali». Ma anche Macron, bersaglio di un recente post virale dove, per irriderlo, si metteva a confronto la sua immagine insieme con la first lady Brigitte e Kiddy Smile (icona rock della cultura Lgbt) con quella di Orban circondato da moglie e cinque figli. E se non parlano i leader, ci pensano i giornali o i siti amici. La copertina dello Spiegel sugli italiani «scrocconi e aggressivi» blandisce l’immaginario tedesco esattamente come i titoli di Libero su «Merkel al volante pericolo costante» accarezza i sentimenti antiteutonici del Belpaese.
Così, una frase dopo l’altra, un’invettiva dopo l’altra, la solidarietà formale e sostanziale tra le classi dirigenti europee è andata a farsi benedire, e le foto di gruppo dei 28 sono diventate come certe fotografie natalizie delle famiglie litigiose, dove tutti si danno un falso contegno per nascondere odi, lacerazioni, contenziosi ereditari. C’era una volta il minuetto noioso, certo eccessivamente burocratico e felpato, forse gelido ed estraneo ai popoli, dei capi dell’Unione Europea. Adesso c’è un concerto rock, fragoroso e magari pure più coinvolgente, ma definirlo Unione è sempre più difficile.