Non sono dazi ma ci somigliano. Almeno per il fatto che sollevano una nuova barriera per i prodotti importati negli Stati Uniti, e vanno a colpire in questo caso il settore del legno e dell’arredo.
Non si tratta della difesa dell’interesse nazionale, motivo con cui il presidente americano Donald Trump ha deciso di aumentare i costi dell’importazione di acciaio e alluminio, ma di una complicata storia di certificazioni e sentenze. Alla fine il risultato non cambia tanto, però: rischiano di restare fuori dagli Usa circa 100 milioni di euro di prodotti in legno, già pronti (alcuni già spediti), con un danno economico serio per il settore.
La questione, sollevata dal presidente di FederLegno/Arredo Emanuele Orsini, è di dettagli e procedure, ma con ricadute pesanti per il commercio. Tutto ruota intorno alla decisione, presa all’interno del Formaldehyde Emission Standards for Composite Wood Products Act del 2010, di adottare nuovi standard (ispirati al modello californiano) per la tracciabilità, le certificazioni e i limiti delle emissioni di formaldeide rilasciate dal legno. Un provvedimento che, per decreto, sarebbe dovuto entrare in vigore il 12 dicembre 2017, ma la cui attuazione era stata rinviata di un anno per decisione dell’Epa, cioè l’Environment Protection Agency. L’unico problema, in tutta questa storia, è che l’Epa non lo poteva fare: non ne aveva l’autorità. Lo ha deciso un magistrato americano che, con la sua sentenza, ha interrotto il rinvio e fatto partire i nuovi standard dal primo giugno 2018.
Questi sono i dettagli e le procedure. Le ricadute, però, si traducono nel divieto di ingresso nel territorio americano di tutti i prodotti in legno già realizzati seguendo le direttive del protocollo precedente. Alcuni di questi, spiega il presidente di Federlegno, sono già pronti per essere spediti. Altri, addirittura, sono già imbarcati e saranno rispediti al mittente, con danni economici seri. “Si tratta di prodotti eseguiti su misura – come è ormai normale per il mercato americano – per cui, calcolando i tempi di produzione necessari, sono stati ordinati almeno sei mesi fa. Cioè quando era stato confermato che il vecchio standard sarebbe rimasto in vigore fino a dicembre”. Niente malafede, nessuna mancanza. Le regole (almeno, quelle che erano in vigore al momento dell’ordinazione) sono state tutte rispettate.
E adesso? “Il mercato statunitense è di fondamentale importanza per i settori da noi rappresentati”, spiega diplomatico Orsini. E diplomatico è anche il canale che cerca di stabilire con le autorità americane, per ottenere una nuova proroga o, almeno, il rispetto della proroga precedente, cioè quella estesa fino a dicembre, con cui si sanerebbe la situazione senza danni eccessivi per gli esportatori.