Avevano ucciso, a sangue freddo, un orso polare per sopravvivere, nel cuore dell’Artico, i “naufraghi” italiani della spedizione del dirigibile Italia, nella fredda primavera del 1928. Con il revolver Colt e tre proiettili, il meteorologo svedese Finn Malmgren, nel chiarore dell’aurora boreale, aveva abbattuto l’orso, una prelibatezza, dopo duri giorni di razionamento. Mentre il sangue dell’orso schizzava caldo sulla banchisa di ghiaccio, scricchiolante, il pensiero correva alla sua carne. E alla sua pelliccia. La vita sull’Artico era stata necessariamente crudele. Tra quegli stessi ghiacci inospitali e selvaggi, nei pressi della sperduta isola di Foyn vicino a dove avevano trovato rifugio, i superstiti del dirigibile, partirà il prossimo 21 luglio, la spedizione Polarquest. Dall’Islanda del nord, da Isafjordur, fino alle Svalbard, le isole Spitzbergen, base dei voli polari, per cercare ciò che resta dell’Italia, il dirigibile scomparso tragicamente il 25 maggio 1928 e mai più ritrovato. A bordo di una barca a vela polare di 60 metri, la Nanuq, “l’igloo passivo”, i ricercatori della Polarquest, novant’anni dopo il disastro polare, studieranno anche la radiazione cosmica alle alte latitudini e l’inquinamento delle microplastiche disperse in mare.
Una spedizione scientifica proprio come quella del 1928, con cui il comandante Umberto Nobile avrebbe voluto creare il primo laboratorio di ricerca volante della storia. E, invece, il dirigibile naufragò tra i ghiacci, lasciando cadere quasi tutti i suoi uomini nella fredda desolazione dei ghiacci artici. Per 48 giorni, i superstiti del dirigibile riuscirono a sopravvivere al riparo di una piccola tenda di seta che colorarono di rosso. L’epopea tragica del dirigibile Italia è legata indissolubilmente al nome e al destino controverso del suo comandante, l’ingegnere Umberto Nobile. Nel 1915, il ventinovenne Nobile, due occhi neri magnetici e un naso volitivo, per tre volte e uno strano scherzo del destino, era stato respinto alla visita di arruolamento nell’esercito. Poi, finalmente, assegnato allo Stabilimento Militare di Costruzioni Aereonautiche. Lo sguardo deciso, il carattere fermo, il volto vagamente somigliante a Peter Finch, l’attore che lo interpretò, nel celebre film La Tenda rossa, del 1969, straordinaria pellicola del regista Mickail K. Kalatozov, dedicata al disastro polare. La passione di Nobile erano sempre state le grandi “aeronavi”, in grado di resistere in volo più degli aerei dell’epoca e di atterrare in piccoli aeroporti vicino alle città e agli scali marittimi. Ma la sua vocazione era pacifista e i suoi progetti dedicati al trasporto civile. “Mentre i poderosi zeppelin e altre aeronavi dell’epoca erano del tipo definito rigido, Nobile credeva fermamente nella struttura non rigida – scriveva Wilbur Cross in Disastro al polo, Corbaccio – secondo la sua teoria, un’aeronave semirigida di lunghezza compresa tra i cento e i centotrenta metri era sufficientemente flessibile da piegarsi senza danno se sottoposta a vento forte”. Ma il pericolo poteva provenire dal gas d’idrogeno che gonfiava i dirigibili.
Una spedizione scientifica proprio come quella del 1928, con cui il comandante Umberto Nobile avrebbe voluto creare il primo laboratorio di ricerca volante della storia. E, invece, il dirigibile naufragò tra i ghiacci, lasciando cadere quasi tutti i suoi uomini nella fredda desolazione dei ghiacci artici
Nello scenario ambiguo degli anni ’20 in Italia, prendeva quota il desiderio di gloria di molti italiani, fra cui Italo Balbo, mentre “Nobile era la quintessenza dell’uomo spaiato: uno studioso che aveva conquistato una posizione di preminenza unicamente in virtù del proprio intelletto e non come risultato di servilismo e di opportunismo”. Un uomo curioso e un perfezionista, ostinato e “capace di sincera autocritica”. Un uomo, quindi, per molti aspetti, assai diverso dal celebre esploratore Roald Amundsen, il primo ad attraversare il Passaggio a Nord – Ovest e il primo uomo a raggiungere il Polo Sud. L’esploratore di Oslo, “l’Aquila Bianca della Norvegia” con l’americano Lincoln Ellsworth e quattro membri dell’equipaggio, aveva già tentato di raggiungere il Polo Nord in aereo, ma, nella primavera del 1925, era rimasto senza carburante e, per trenta giorni, bloccato sul pack, tagliato fuori, senza alcun contatto radio. E già allora Amundsen venne dato per scomparso. Ma miracolosamente i sei uomini erano riusciti a decollare e a fare ritorno alle Spitzbergen. Quell’esperienza, sempre secondo Cross, aveva convinto il norvegese ad entrare in contatto con Umberto Nobile e acquistare una delle sue aeromobili. Lo N-1, di 19.000 metri cubi, ribattezzato Norge (Norvegia), finanziato per la maggior parte dal club Aeronautico Norvegese, raggiunse il Polo il 12 maggio 1926, dopo aver coperto 13400 kilometri in 161 ore di volo. Molte furono, in verità, le difficoltà per raggiungere l’Alaska e, soprattutto, una ancor più complicata convivenza italo-norvegese, a bordo. Si accesero le discordie, riportate anche dalla stampa dell’epoca. Incompatibilità di carattere? Pare che Amundsen si fosse lamentato delle splendide ma inadatte uniformi degli aviatori italiani e del fatto che Nobile si era portato dietro Titina, la sua fedele cagnolina, un piccolo fox-terrier, considerata un “peso” inutile.
Se con Amundsen c’era un po’ di ruggine, Nobile aveva tessuto un buon rapporto con il meteorologo della spedizione, Finn Malmgren, che volle con sé nel nuovo progetto di trasvolata artica. Nobile accarezzava il sogno di una nuova spedizione al Polo, mentre sceglieva attentamente l’equipaggio, chiedendo di avere con sé Alessandrini, Caratti, Cecioni e Pomella, i cinque meccanici che avevano già volato su Norge. E alla spedizione prese parte il fisico Aldo Pontremoli che mise a frutto la sua esperienza e passione nel volo, coltivata durante la grande guerra a bordo di palloni frenati per impiego militare. Pontremoli progettò, insieme a Luigi Palazzo, le attività di ricerca, costruì e testò opportune camere frigorifere, che riproducevano le condizioni termiche dell’Artide. È l’estate del 1927 quando Umberto Nobile organizza la seconda spedizione polare, con il dirigibile Italia. Nella primavera del 1928, mentre si addensavano le nubi minacciose del destino, prese corpo anche la sua idea rivoluzionaria: non semplicemente una trasvolata. “La prima fu una trasvolata, questa volta ci fermeremo – aveva affermato Nobile, alla vigilia del volo – Ho sperimentato un sistema di ancoraggio e una speciale piattaforma che permetterà la discesa ai tre scienziati che fanno parte della spedizione”. Un ancoraggio che avrebbe permesso la trivellazione del pack.
È l’estate del 1927 quando Umberto Nobile organizza la seconda spedizione polare, con il dirigibile Italia. Nella primavera del 1928, mentre si addensavano le nubi minacciose del destino, prese corpo anche la sua idea rivoluzionaria: non semplicemente una trasvolata. “La prima fu una trasvolata, questa volta ci fermeremo – aveva affermato Nobile, alla vigilia del volo – Ho sperimentato un sistema di ancoraggio e una speciale piattaforma che permetterà la discesa ai tre scienziati che fanno parte della spedizione”
Il progetto era quello di esplorare la costa siberiana, la terra di Nicola II, la Groenlandia e di allestire un campo base di studio e di misurazione delle temperature, ma il sogno si rivelò troppo ambizioso e la discesa si trasformò in una caduta drammatica. Raggiungere lo “zero geografico assoluto” una sfida contro l’assoluto
Il progetto era quello di esplorare la costa siberiana, la terra di Nicola II, la Groenlandia e di allestire un campo base di studio e di misurazione delle temperature, ma il sogno si rivelò troppo ambizioso e la discesa si trasformò in una caduta drammatica. Raggiungere lo “zero geografico assoluto” una sfida contro l’assoluto. Il dirigibile Italia da un rapporto stampa venne descritto come “una scintillante forma argentea, riflesso remoto sulle cuspidi di ghiaccio che dal suolo era difficile distinguere”. Il viaggio del 23 maggio 1928, verso nord, dell’Italia fu privo di insidie per le prime ore fino a quando la nebbia iniziò a lambire l’aeronave, mentre il vento artico si alzava da sud. Si apriva un ventaglio di possibilità per Nobile che scelse di rientrare nella Baia del Re. Il Polo Nord venne raggiunto ventiquattro minuti dopo la mezzanotte del radioso 24 maggio. Venne lanciato il tricolore che sventolava timidamente tra le crepe mobili dell’Artico. Con la bandiera, anche il gonfalone della città di Milano, che aveva finanziato la spedizione. La sacralità del rito prevedeva anche una grande croce con un nastro tricolore affidata a Nobile da Pio XI. I motori vennero fermati e sul tetto del mondo suonarono le note patriottiche del Piave e di “Le campane di San Giusto”.
Dopo aver brindato con del liquore all’uovo, il dirigibile riprese il largo verso la sciagura. Il primo incidente fu l’incastro della barra del timone di altitudine. A questo si aggiungeva un forte vento e una possibile fuga di idrogeno. La mattina del 25 maggio, l’Italia si schiantò sulla banchisa dell’Oceano Artico a nord-est delle Spitzbergen, a circa 81°14’ di latitudine nord, l’aeronave era squarciata e l’involucro argenteo del dirigibile, come un palloncino ad elio sgusciato via dalle mani di un bambino, tornava a volare. A bordo sei uomini, tra cui Attilio Caratti, Calisto Ciocca, il giornalista Ugo Lago, Renato Alessandrini, e Aldo Pontremoli, gettavano il loro sguardo atterrito attraverso la ferita mortale dell’aeronave. Il capo-motorista Ettore Arduino, eroicamente, dalla creatura mutilata in volo, lanciò a terra la salvezza per i superstiti: combustibile, provviste ed equipaggiamento. Tra questi la “tenda rossa”. Nell’impatto con la banchisa, Giuseppe Biagi, sottufficiale di seconda classe, aveva tenuto le braccia avvolte intorno alla radio di emergenza. Una esile tenda bianca, di due metri e ottanta per due e ottanta, fu montata sopra una spessa crosta di ghiaccio. Le pareti all’interno di un blu tenue, riposante rispetto al bianco polare. Una tenda troppo piccola per ospitare nove uomini di cui due gravemente feriti, Nobile e Cecioni, e la cagnetta del comandante, Titina. “Eppure, perfino quel rifugio impossibile riuscì a tramutarsi in un simbolo di speranza – scrive ancora Cross – La Tenda Rossa era non solo il faro che avrebbe guidato i soccorsi fino a loro, era anche un totem di protezione, al suo esterno contro gli elementi polari, al suo interno con il suo soffice colore azzurro, contro l’inesorabile luminosità dell’Artico”. Biagi, con la piccola radio Ondina 33, si affannò a lanciare il messaggio SOS – captato da un giovane contadino sovietico Nicolaj Schmith nella città di Arcangelo – che permise ai soccorritori di raggiungerli. Nel film La Tenda Rossa si ricostruiscono fedelmente i passaggi della spedizione, con una licenza poetica: Umberto Nobile incontra i suoi fantasmi in un processo postumo. Nobile aveva preso malaugurata decisione di mettersi per primo in salvo con il pilota svedese Einar-Paul Lundborg.
Il Polo Nord venne raggiunto ventiquattro minuti dopo la mezzanotte del radioso 24 maggio. Venne lanciato il tricolore che sventolava timidamente tra le crepe mobili dell’Artico. Con la bandiera, anche il gonfalone della città di Milano, che aveva finanziato la spedizione. La sacralità del rito prevedeva anche una grande croce con un nastro tricolore affidata a Nobile da Pio XI
Il dado è tratto. È il 12 luglio: il capitano Karl Eggi con il rompighiaccio sovietico Krassin raggiunge gli ultimi superstiti. Il 26 luglio tornarono in Italia Nobile e i suoi, dopo i tragici fatti. Pochi giorni dopo a Roma, nonostante il duce avesse vietato qualsiasi celebrazione, c’erano 200 mila persone in festa ad accogliere gli eroi dell’Italia. Nobile venne ricevuto dal duce, ma poco dopo, subì un processo durissimo: fu ritenuto “responsabile del disastro dell’Italia”, un “codardo”, “incompetente”, colpevole di non aver avuto la meglio contro le avversità della natura. Forse era stato semplicemente sfortunato. Rivedere la tenda oggi con tutte le sue rughe e i segni del tempo è come posare gli occhi sopra una reliquia miracolosa. La tenda delicatissima, di seta, al rientro della spedizione era stata esposta al Castello. Dagli anni ’50 al 1999 al Museo della Scienza e Tecnologia ma poi chiusa, ricoverata in una cassa perché molto deteriorata. A prendersi cura di lei, oggi, una restauratrice torinese, esperta di tessuti, Cinzia Oliva. La tenda sarà, ancora una volta, protagonista di nuove pagine di storia da scrivere:
“Quest’anno, in occasione del 90° anniversario della spedizione del Dirigibile Italia al Polo Nord, concluderemo il restauro della Tenda Rossa” – afferma Fiorenzo Galli, Direttore Generale del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci – “Oggi, come avvenne allora per la spedizione, per la quale si mobilitarono associazioni, imprese e individui, lanciamo un appello a tutti per sostenere il progetto di allestimento permanente per riportare la Tenda Rossa, entro Natale, in esposizione nel Padiglione Aeronavale e farla diventare una delle icone del Museo accanto ad oggetti come il frammento di roccia lunare e il sottomarino Toti”. Nel frattempo, in questi giorni, la spedizione artica Polarquest potrebbe trovare qualche traccia del dirigibile scomparso, il tessuto d’argento con la scritta Italia, o magari il corpo di Roald Amundsen – che con Nobile aveva conquistato il Polo Nord – che era partito per cercare i sopravvissuti della spedizione, ma non ha mai più fatto ritorno. Nel film Amundsen, interpretato da Sean Connery, da uno squarcio tra le nubi trova il relitto del dirigibile Italia e gli uomini sparsi tra i rottami, paralizzati dal gelo della morte. In una desolazione artica, nella immacolata solitudine della morte, il destino si compiva, mentre il vento si insinuava dentro l’involucro, indifeso e inerte, dell’aeronave. Ad Amundsen una fine avvolta dalle nebbie del mistero, a Nobile una vita tormentata e prigioniera delle ombre del passato. Perché, come il comandante italiano ebbe modo di dire al giornalista inglese Dudley Haetcote: “Essere pioniere è un onore che si paga”. A caro prezzo.