Si era salvato dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. e stava scappando dalla città già coperta di lapilli. Proprio quando pensava di essere in salvo, un blocco di pietra di 250 chili, forse lo stipite di una porta, viene sospinto in aria dalla forza del vulcano, sale in quota e ricade a terra, centrando il malcapitato nel petto. Lo uccide schiacciando la parte superiore del suo corpo.
Questa è la storia “l’uomo più sfortunato di Pompei” – così è stato ribattezzato il mezzo scheletro trovato nella Regio V dei nuovi scavi nel sito campano, anche se il nome ufficiale sarebbe “l’ultimo fuggiasco” – la pietra caduta dal cielo è ancora lì. L’immagine è impressionante e ha fatto il giro del mondo. Ma la ricostruzione della vicenda, si è potuto appurare nel giro di un mese, è sbagliata.
L’uomo non sarebbe morto per l’impatto col macigno, sostengono ora gli archeologi. Ma soffocato dalle esalazioni, oppure per un infarto. Nel prosieguo degli scavi è stata ritrovata la parte superiore del suo corpo, teschio compreso, qualche metro più in basso. Questa distanza stratigrafica (cioè: perché una parte del corpo si trova più sotto) sarebbe causata dal crollo di una delle tante gallerie scavate nel XVIII e XIX secolo dai primi archeologi che, sotto il regno borbonico, si interessarono a riportare alla luce Pompei. Insomma, l’uomo non è stato ucciso dal macigno. Era già morto.
Resta da appurare, allora, in quale momento la pietra abbia colpito l’uomo. Insieme all’eruzione del vulcano? È crollata dal piano superiore dello stabile in cui (o nei pressi di cui) si trovava l’uomo? Chi lo sa. La verità si scoprirà solo scavando.