La principale obiezione contro il taglio retroattivo dei vitalizi parlamentari – “Attenti, presto toccherà alle pensioni di qualcun altro” – andrebbe rovesciata nel suo esatto contrario. Solo se la revisione dei famosi diritti acquisiti si estenderà oltre la cerchia minima degli ex-deputati, perderà il sapore di rappresaglia contro un drappello di vecchietti abbastanza ininfluenti e potrà fregiarsi del valore simbolico che il governo gli attribuisce. I soldi risparmiati con i tagli ai vitalizi non andranno a vantaggio di nessuna categoria di pensionati (sono soldi della Camera, e dalla Camera saranno altrimenti spesi o al massimo resteranno in tasca allo Stato).
Al contrario, se si procedesse a uno screening delle molte categorie che hanno beneficiato di trattamenti pensionistici oggi impensabili per la “gente normale” – dai dirigenti sindacali, agli alti burocrati, ai molti che godono di una pensione superiore ai contributi versati grazie al calcolo retributivo – eventuali risparmi finirebbero all’Inps, e potrebbero riequilibrare la situazione dei pensionati poverissimi o di chi la pensione se la sogna per la mancanza di un paio di anni di contributi.
La differenza tra una ritorsione e un atto di giustizia sociale è chiara agli italiani dai tempi del Manzoni, ed è da allora che tutti hanno presenti i rischi che comportano in genere i provvedimenti esemplari di scarso contenuto. Nei Promessi Sposi il Gran Cancelliere di Milano Antonio Ferrer si ingrazia il popolo calmierando il prezzo del pane e accusando i bottegai che protestano di essere profittatori. Il popolo corre ai forni perché il pane costa poco. Il pane finisce. Il popolo impazzisce e assalta i forni. Ora non siamo più una turba affamata come quella, e forse il paragone è improprio, ma il solo modo di dare un senso ai proclami di questi giorni contro i privilegi dei vecchi parlamentari è dare un seguito all’operazione-vitalizi allargandola alle molte, troppe situazioni di privilegio che l’Italia ha accumulato sotto la voce “diritti acquisiti”.
Ora che abbiamo scoperto che le misure retroattive sono possibili e addirittura politicamente necessarie, ora che dal luogo-simbolo della democrazia – il Parlamento – è arrivato l’esempio «che gli italiani chiedevano da 60 anni» come dice Luigi Di Maio, si potrebbe procedere in materia di pensionati ben oltre le promesse sulla correzione della Legge Fornero. E però le dichiarazioni sul punto sono inesistenti, non c’è nessuno che dica “è solo l’inizio”
L’elenco delle diseguaglianze è lungo. La più grande l’ha creata la Riforma Dini del 1995, spaccando a metà gli italiani: chi aveva 18 anni di contributi versati a quella data conquistò la pensione calcolata col retributivo, gli altri niente: contributivo obbligatorio (e assegni molto più bassi). Poi c’è la giungla dei regali fatti dalle Regioni ai loro dipendenti, quella delle pensioni maggiorate ai sindacalisti, e la foresta delle disparità contributive nelle quali probabilmente manco gli esperti si destreggiano più. Nel Paese delle cento caste, “scivoli” e agevolazioni si moltiplicano da anni, con la consueta pratica di socializzare le perdite e privatizzare i vantaggi.
Ora che abbiamo scoperto che le misure retroattive sono possibili e addirittura politicamente necessarie, ora che dal luogo-simbolo della democrazia – il Parlamento – è arrivato l’esempio «che gli italiani chiedevano da 60 anni» come dice Luigi Di Maio, si potrebbe procedere in materia di pensionati ben oltre le promesse sulla correzione della Legge Fornero. E però le dichiarazioni sul punto sono inesistenti, non c’è nessuno che dica “è solo l’inizio”. Anzi, l’idea che possa esserci un seguito, che possa arrivare la revisione di altri privilegi per altre categorie di fortunati, viene esorcizzata con rassicurazioni varie dai partiti della maggioranza mentre l’opposizione la agita come uno spauracchio.
Se finirà così, saremo costretti ad archiviare la gran festa di piazza per l’abolizione dei vitalizi come il consueto teatrino propagandistico di una maggioranza affamata di consenso. Un atto simbolico fine a se stesso, perché il simbolo senz’altro lo abbiamo visto tutti, tra brindisi e palloncini gialli, ma il contenuto non arriverà e il riequilibrio tra privilegi e miseria resterà un argomento da comizio.