Dalla povertà alla gloria con Maradona (passando per il carcere): Bruno Giordano, il prototipo dell’attaccante moderno

Un esordio bruciante, l'arresto e la squalifica per il calcio scommesse, e poi l'apoteosi a Napoli col Pibe de oro, che di lui diceva: «L'italiano più forte con cui ho mai giocato». Una biografia omerica raccontata da Giancarlo Governi

Calcio, vita di quartiere, delinquenza, morte, poesia. A Trastevere la strada insegnava a comportarsi: era l’università a cielo aperto tra Campo de’ Fiori e i monumenti, nel rione, a Gioacchino Belli e Trilussa, i poeti sardonici della capitale. Giordano Bruno, bruciato vivo per eresia dall’Inquisizione, rinacque nell’agosto del 1956 nel nome di Bruno Giordano, figlio di un tappezziere un po’ burbero che abitava proprio dalle parti della statua in bronzo del monaco e filosofo. Giocava a pallone tra le stradine tortuose con i sampietrini sconnessi e le facciate arancio dei muri sui vicoli, al Gianicolo, davanti al sacrario dei garibaldini o a piazza Santa Maria. Finì all’oratorio Don Orione, dove don Pizzi, il prete dalla tonaca lunga, si occupava degli adolescenti per evitare che finissero nel giro della droga e della malavita in espansione. Era questa la Roma dai contorni medievali degli anni Sessanta e Settanta, delle bancarelle, dei fruttivendoli, di chi vendeva le bombole e le sigarette di contrabbando, dei ristoratori come lo zio del calciatore che cucinava le fettuccine e con cui il ragazzino mangiava la pizza e beveva la coca cola dopo le partitelle con gli amici. Gli altri preferivano il vino di Frascati, la “fojetta” o il “quartino” estratto dalla botticella con la leva orizzontale. Oggi Trastevere è abitata per lo più da forestieri: i giapponesi e i romeni hanno sostituito i romani. Allora si distingueva un ragazzo volitivo, un po’ sfrontato, dalla schiena dritta, i capelli neri a caschetto come quelli del suo idolo, l’olandese volante Johan Cruijff, visto in fotografia e ai mondiali del 1974. Giordano fu scoperto da Flaco (il minuto) Flamini, ex centrocampista argentino della Lazio naturalizzato italiano, e valorizzato dal mister Paolo Carosi, il “barone” che gli dava i “pizzoni” se non rigava dritto. Lo ritrovò in serie A nel 1984, durante l’estemporanea presidenza targata Chinaglia. La storia di Bruno Giordano, la sua meticolosa biografia, l’ha scritta un giornalista acuto, un autore televisivo per i programmi delle reti Rai. Uno che sa raccontare, un laziale di vecchio corso: il volto televisivo Giancarlo Governi. Bruno Giordano. Una vita sulle montagne russe (Fazi 2017) contiene la prefazione di Edoardo Albinati, altro laziale doc, lo scrittore che esalta l’essenzialità del campione erede di Long John: Giorgio Chinaglia, il centravanti per eccellenza della sponda aquilotta del Tevere.

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