Dall’embargo al successo: così il Qatar ha stravinto la sua partita con l’Arabia Saudita

Un anno fa, con un pretesto, Arabia Saudita & co. facevano scattare l'embargo contro il piccolo (ma ricchissimo) Paese. Il Qatar non ha mostrato cedimenti davanti alle inaccettabili condizioni imposte per evitarlo e scelse la sovranità: una sfida stravinta

MOHAMMED AL-SHAIKH / AFP

È passato poco più di un anno da quando (5 giugno 2017) Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto ruppero le relazioni diplomatiche con il Qatar e lanciarono un embargo totale contro il piccolo Stato retto dall’emiro Tamim bin Hamad al-Thani, via via imitati anche da Libia, Yemen, Maldive, Senegal, Comore, Ciad e Mauritania. Una decisione giustificata con l’accusa al Qatar di essere sponsor del terrorismo in Medio Oriente, in particolare di sostenere i gruppi legati ai Fratelli Musulmani, ma in realtà tesa ad annullare qualunque forma di autonomia e indipendenza dell’emirato.

Per non varare l’embargo, infatti, i quattro Paesi promotori pretesto di dettare all’emiro Al-Thani tredici condizioni che, ovviamente, furono subito respinte. E basta leggerne alcune per capire che si trattava di pretesti inaccettabili per qualunque Stato al mondo: troncare ogni rapporto diplomatico con l’Iran, conservando solo quelli commerciali che rispondessero, però, a una serie di standard stabiliti dagli Usa; chiudere la Tv satellitare Al Jazeera; rinunciare a organizzare i Mondiali di calcio nel 2022; chiudere la base militare della Turchia in territorio qatariota; pagare una compensazione in denaro (con la cifra da stabilire) per i “danni” e la “perdita di vite umane” causati dalla politica qatariota negli ultimi anni; allinearsi alla politica sociale, economica e militare degli altri Paesi del Golfo; accettare un monitoraggio decennale chiamato a stabilire se tali condizioni fossero rispettate o no.

Il Qatar, insomma, chiamato a scegliere tra la sovranità e l’embargo, preferì affrontare l’embargo. E un anno dopo può non solo dire di aver vinto la sfida ma di aver trasferito il problema sulle spalle dei propri aggressori. Gli Stati Uniti, che allo scoppio della crisi diplomatica approvarono le mosse dell’Arabia Saudita, da tempo sono su una posizione più critica. Hanno ripreso le vendite di armi al Qatar, stanno rinforzando la base di Al-Udeir e sono soprattutto preoccupati delle conseguenze internazionali dell’embargo. Non solo i rapporti tra Qatar e Iran sono rimasti cordiali ma tutta una serie di altri Paesi, non necessariamente graditi agli Usa, sta approfittando della situazione per tessere nuove e proficue relazioni economiche: il solito Iran, ovviamente, ma anche la Cina, l’India, il Pakistan, la Turchia, il vicino Oman, che con le loro esportazioni compensano quanto il Qatar non può più importare attraverso i Paesi che hanno dichiarato la guerra diplomatica ed economica. La preoccupazione americana cresce di settimana in settimana, anche alla luce della crisi dei rapporti con l’Iran, che gli Usa vorrebbero gestire con il massimo dei consensi in Medio Oriente. E il loro disagio operativo pure, visto che sono tuttora vacanti le sei di ben nove ambasciate americane cruciali per la regione, tra le quali quella dello stesso Qatar, dell’Egitto, dell’Arabia Saudita, della Giordania e degli Emirati Arabi Uniti.

Il Qatar, insomma, chiamato a scegliere tra la sovranità e l’embargo, preferì affrontare l’embargo. E un anno dopo può non solo dire di aver vinto la sfida ma di aver trasferito il problema sulle spalle dei propri aggressori. Gli Stati Uniti, che allo scoppio della crisi diplomatica approvarono le mosse dell’Arabia Saudita, da tempo sono su una posizione più critica

Anche l’Egitto dell’ex generale Al-Sisi, che si è allineato all’embargo in nome dell’ostilità contro i Fratelli Musulmani, mostra segni di inquietudine. In Qatar vivono e lavorano 300 mila egiziani, molti dei quali impiegati nella pubblica amministrazione. Ma Al-Sisi si è ben guardato dall’ordinare loro di lasciare il Paese, come invece hanno fatto con i propri concittadini i governanti di Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti. Se l’Egitto avesse imposto il “tutti a casa”, la struttura produttiva (soprattutto il settore del gas) e amministrativa del Qatar avrebbe potuto entrare in sofferenza. Ancor peggio se il Cairo avesse vietato alle petroliere di Doha il transito nel canale di Suez. Nulla di tutto questo è successo e la cosa ha il suo significato.

Nello stesso tempo, le azioni intraprese dal Qatar nei più diversi fori internazionali cominciano a dare i loro frutti. La Corte di Giustizia Internazionale (il massimo organo giudiziario dell’Onu) ha appena decretato che le azioni intraprese dagli Emirati Arabi Uniti per attuare l’embargo (espulsione dei cittadini qatarioti residenti negli Emirati e degli studenti) costituiscono una violazione dei diritti umani. E l’Organizzazione Internazionale del Commercio si sta occupando delle conseguenze dell’embargo rispetto alle regole dell’Organizzazione, a suo tempo sottoscritte dai Paesi coinvolti.

Ciò che più conta, però, è che il Qatar, dopo un iniziale momento di difficoltà, ha saputo replicare con grande efficacia al boicottaggio, annullandone la gran parte degli effetti reali e potenziali. Il simbolo più efficace di questa reazione è il Porto Internazionale di Hamad, uno dei più grandi al mondo. Costruito in pochi mesi (è stato inaugurato nel settembre scorso) con uno scavo a diciassette metri sottovia livello del mare, ha annullato uno dei punti deboli del Qatar, i collegamenti via mare. Prima dell’embargo, il regno di Al-Thani sfruttava i servizi dello scalo portuale di Jebel Alì, negli Emirati Arabi Uniti. Ora anche quella forma di ricatto è stata vanificata, Hamad è già il terminale di importanti linee di esportazione di prodotti petrolchimici verso 135 Paesi e di importazione di generi alimentari dall’India e dalla Turchia. Al porto, inoltre, è collegata una zona economica speciale destinata a dare ulteriore impulso alle relazioni economiche internazionali.

Il Qatar, dopo un iniziale momento di difficoltà, ha saputo replicare con grande efficacia al boicottaggio, annullandone la gran parte degli effetti reali e potenziali. Il simbolo più efficace di questa reazione è il Porto Internazionale di Hamad, uno dei più grandi al mondo. Costruito in pochi mesi (è stato inaugurato nel settembre scorso) con uno scavo a diciassette metri sottovia livello del mare, ha annullato uno dei punti deboli del Qatar, i collegamenti via mare

Proprio in questo campo il Qatar ha mostrato un’abilità molto superiore a quella dei Paesi che pretendevano di isolarlo e indebolirlo. Sul fronte interno, la crisi è stata occasione per una serie di riforme che, grazie anche a incentivi distribuiti con oculatezza agli imprenditori più innovativi, stanno cambiando la struttura produttiva del Paese e riducendo drammaticamente la dipendenza dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti nell’importazione dei generi alimentari. Il Governo, inoltre, ha reso più agevole la concessione dei visti d’ingresso nel Paese, facilitando così i contatti con gli operatori economici di altri Paesi.

Se il fondo sovrano nazionale, gestito dalla Qatar Investment Authority, si è dovuto mobilitare per coprire le perdite d’esercizio della linea aerea di bandiera – la Qatar Airways, una delle migliori compagnie del mondo che però, a causa del blocco, ha dovuto ridurre i voli e allungare le rotte, con un calo degli utili del 20% – e stabilizzare l’attività delle banche, ingenti risorse sono però andate a rinforzare i rapporti economici in tutto il mondo, tessendo una efficacissima diplomazia parallela. Il Qatar è diventato importante azionista del distretto finanziario di Londra come delle aziende di punta di Parigi, Roma, Milano e New York. Ha investito nel settore bancario della Cina, in quello alimentare dell’India e in quello turistico di mezza Asia. Insomma, il Qatar non cede, anzi rilancia. E per i Paesi dell’embargo, che volevano piegarlo, l’imbarazzo cresce di giorno in giorno.