Emma Bonino: «Non è vero che bisogna chiudere le porte: in Italia c’è posto per gli stranieri»

Secondo la senatrice di Più Europa il Paese ha bisogno di ingressi per mantenere il proprio equilibrio. Le espulsioni promesse da Salvini sono impossibili per cui la soluzione, prima o poi, sarà una sanatoria

Gli slogan funzionano. Ma se qualcuno alza il dito e fa notare che la realtà, a volte, è più complicata, le cose cambiano. Lo fa Emma Bonino nei confronti del professore Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia alla Università Bicocca di Milano e responsabile del settore statistico dell’Ismu, che in un’intervista alla Stampa ha dichiarato che in Italia “non c’è più posto per gli stranieri”, anzi servono “porte chiuse”. E lo ius soli non sarebbe voluto “nemmeno dai ragazzi”.

È vero quello che afferma il professor Blangiardo?
Direi proprio il contrario. In questo Paese da anni c’è un declino demografico preoccupante, a cui va aggiunto il fatto che almeno 100mila persone, di cui moltissimi giovani, se ne sono andati a cercare lavoro all’estero. Siamo sempre di meno, insomma. E di fronte a questo fenomeno come è possibile che “non c’è più posto” per gli stranieri? Il posto c’è e va assegnato. È una questione di necessità: gli stranieri servono per mantenere gli equilibri dei Paesi. Succede negli altri Paesi Ue, come Francia e Germania. E serve anche in Italia. Questo è un punto.

Lei non è d’accordo nemmeno quando parla di respingimenti, rimpatri ed espulsioni. Perché?
Si tratta di slogan. Prima di tutto, i respingimenti collettivi non si possono fare, anche se l’Italia sta cercando in tutti i modi di farli. E i rimpatri, come è noto, sono molto meno facili. Prevedono la necessità di fare accordi con gli Stati d’origine. E al momento l’Italia ha accordi solo con Nigeria, Tunisia, Marocco e qualcosa con l’Egitto. Questo spiega perché lo slogan di Salvini prima delle elezioni, cioè “i 500mila che sarebbero stati subito rimpatriati”, non è più saltato fuori. Forse quando è andato al Viminale glielo hanno spiegato.

Cosa?
Che è impossibile.

Però Blangiardo si riferisce all’immigrazione cosiddetta “irregolare”.
Regolari o irregolari, questi sono titoli: ma poi si deve andare a guardare ai sottotitoli, in forma di leggi. E finora l’unica è la direttiva che mette fine agli Sprar, che pure erano un’esperienza molto positiva, anche se degli 8mila sindaci che hanno chiesto di partecipare solo mille erano stati ammessi in modo positivo. Prevede un sistema di integrazione degli stranieri, suddividendoli in piccoli gruppi e inserendoli nella comunità.

Quindi gli irregolari devono rimanere in Italia?
In Italia si è creata nel tempo una massa notevole di irregolari perché il tasso di regolarizzazione è molto basso. Poniamo un esempio: uno arriva in Italia con un visto turistico. Alla scadenza del termine, anziché lasciare il Paese vi rimane e a quel punto diventa irregolare. Cosa fa? Se non ce l’ha già, cerca un lavoro. O lo fa in nero – cosa che avviene in diversi settori, come l’agricoltura o l’edilizia – oppure viene impiegato dalla criminalità organizzata. Come si vede, visto che espulsioni e rimpatri sono difficilissimi, lo Stato viene danneggiato.

Per questo ci vorrebbe un processo di regolarizzazione più immediato.
Non è una scoperta mia. Anche il centrodestra, subito dopo l’approvazione della Bossi-Fini, aveva visto che la regolarizzazione conveniva quantomeno alle casse del Paese. E ha fatto una sanatoria per 600mila persone. Al momento gli irregolari in Italia sono stimati sui 400mila o 500mila.

A quei tempi però i flussi erano diversi.
Sì, ma la cifra è più o meno la stessa: 600mila allora, 500mila oggi. Quello che serve, insomma, è ridurre lo stagno. Non, per usare una frase di Mandela, “sparare a pallettoni contro i moscerini”.

Ma è vero che ai ragazzi figli di stranieri “la cittadinanza italiana non interessa”, come dice il professore?
Non mi risulta. Ma come lo sa, lui?

Esistono Paesi, come la Cina, che rifiutano la doppia cittadinanza. Alcuni preferiscono mantenere quella dei genitori e rinunciare a quella italiana.
Alcuni, allora. Ma non tutti. C’è chi la vuole e, forse, chi non la vuole.

Nell’articolo si fa cenno a una vecchia fake news che circolava prima del referendum sull’aborto, quella dei 30mila decessi causati dalle interruzioni di gravidanza. Le risulta questo dato?
Io non l’ho mai usato. Non so chi lo usasse e non ho mai nemmeno sentito nessuno che lo usasse.

All’epoca non circolava, allora.
Direi proprio di no.

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