Fontana ce l’ha coi gay e le famiglie arcobaleno, ma per i disabili non ha ancora mosso un dito

Il ministero per la disabilità doveva essere una delle grandi innovazioni gialloverdi. Per ora però il ministro Fontana - impegnato nella sua crociata contro gli omosessuali - si è fermato a qualche vago slogan. Risultato? Tanta propaganda, e diritti dei più deboli (ancora una volta) dimenticati

Alberto PIZZOLI / AFP

Ve lo ricordate quando Salvini parlava del ministero della Disabilità come la grande innovazione di questo governo? Doveva essere il primo ministero di cui si sarebbe occupato da Presidente del Consiglio. «Un ministero che riconosca i diritti dei disabili», diceva. Ovviamente, parlava solo di quelli italiani.

Pur senza essere diventato premier, il suo dicastero della Disabilità Salvini l’ha ottenuto. Peccato, però, che il suo ministro, il 38enne Lorenzo Fontana, iper-leghista e iper-antiabortista, sembra essersi dimenticato di quella metà del ministero (quella della disabilità, appunto) che il vicepresidente si era premurato di sbandierare a destra e a manca.

Pare infatti ossessionato, Fontana, dal tema dell’omosessualità, nel mirino fin dal momento in cui si è insediato, a inizio giugno. Allora aveva esordito con un sonoro «le famiglie gay non esistono». E ora si è messo ad attaccare anche i tribunali, decretando lo stop al riconoscimento dei figli di coppie dello stesso sesso nati all’estero tramite la maternità surrogata. Proseguono insomma gli slogan da campagna elettorale, ma nella sostanza il ministro sembra più preoccupato di marcare bene i confini (in negativo) del suo dicastero, evidenziando chi non ha diritto di essere tutelato, e occupandosi poco o nulla dei diritti dei disabili.

Il giorno del suo insediamento, alla domanda “qual è la prima cosa che farà da ministro”, Fontana aveva risposto: «Il grado di civiltà di un paese si valuta anche dal livello di impegno e di risorse che mette per aiutare i disabili». Ora, in quasi due mesi di governo Fontana si è limitato a qualche parola. Vaga.

Il giorno del suo insediamento, alla domanda “qual è la prima cosa che farà da ministro”, Fontana aveva risposto: «Il grado di civiltà di un paese si valuta anche dal livello di impegno e di risorse che mette per aiutare i disabili». Ora, in quasi due mesi di governo Fontana si è limitato a qualche parola. Vaga

Anche presentando suo programma da ministro Fontana si è limitato a un generico «bisogna mettere ordine nelle politiche rivolte alle persone con disabilità» attraverso un ipotetico Codice ad hoc. Inutile dire che di questo codice, o di una bozza di codice, non c’è traccia. Per il resto Fontana ha parlato di disabili solo in realzione alle famiglie che li accudiscono.

I disabili come soggetti passivi, incapaci di autonomia. Non a caso Andrea Silvestrini dell’Aniep (storica associazione per la difesa dei diritti dei disabili) ha commentato a Repubblica: «per loro il disabile deve per forza stare confinato in famiglia».

Anche quando Fontana affronta l’argomento, come è successo nell’incontro con la Fand (altra istituzione storica a favore di chi soffre di disabilità), il tema dei fondi e delle voci di spesa, quello più pressante, non viene nemmeno stato toccato.

Per il resto, però, sul tema della disabilità tutto tace, mentre il ministro prosegue sulla linea dei proclami sulla crisi della natalità, sulla maternità come risorsa, sugli asili nido gratuiti, sull’Iva ridotta per i prodotti dell’infanzia, sul sistema fiscale “family friendly”. Tutte questioni legittime, per carità. Se non fossero condite da una serie di dichiarazioni – quelle appunto sul mondo, anche genitoriale, dell’omosessualità – che sanno di ossessione, o di spot da campagna elettorale perenne, ma perdono di vista la sostanza delle cose. E i veri diritti dei più deboli.

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