Lo ripetono sempre a scuola: si deve imparare dai propri errori. Spesso, però, si può imparare anche dagli errori degli altri. In questo caso, da quelli del presidente americano Donald Trump. Secondo una consolidata tradizione statunitense, i presidenti Repubblicani da George W. Bush in poi (cioè due) mostrano una scarsa dimestichezza con la lingua inglese. Bush inventava parole a caso (celebre il suo “misunderestimate”), Trump sbaglia a scriverle. Del resto la perdita di centralità degli studi letterari nella formazione delle élite è un fenomeno ormai datato: chi si stupisce è in malafede.
Questa però non è tanto una questione di cultura. È un fatto di strategia. Trump twitta e sbaglia, soprattutto i nomi delle persone con cui se la prende. Questa tattica, nota bene al pubblico del Tg4 di Emilio Fede, lo ha portato a scrivere “Alex Baldwin” anziché “Alec” o “Maggie Habberman” anziché “Haberman”, confondendo – forse apposta – propri lettori.
Ma c’è di più. La carriera di Baldwin viene definita “dieing”, da die, che vorrebbe dire “morente”. Ecco, la forma giusta è “dying”. Quella usata da Donald non è sbagliata in sé, solo significa un’altra cosa: deriva dal verbo to die, non “morire” ma “punzonare”. E, come si può intuire, non c’entra niente con la carriera di Baldwin.
Il vecchio Donald però riesce ad arrivare a vette incredibili: sbaglia il nome di Melania, sua moglie, inventa un nuovo Paese africano (la Somolia), e decide che “counsel” si scrive “councel”.
Ma del resto l’inglese è una lingua viva, pronta a inglobare nuove parole ed espressioni. Ad esempio “covfefe”, nuovo modo per