«Populismo è una parola che non mi piace. Sembra indicare una reazione epidermica alla realtà, mentre è una reazione alle élite», così parlò Marion Maréchal Le Pen, giovane esponente 28enne del Front National (ora Rassemblement National) nipote di Jean Marie Le Pen (è il nonno) e di Marine (la zia), invitata ad aprire la rassegna di cultura e politica “Liguria d’Autore”, organizzata da Visverbi a Montemarcello, La Spezia. Insieme a lei un parterre di ospiti, dal presidente della Liguria Giovanni Toti al sottosegretario ai Trasporti leghista Edoardo Rixi, passando per Vincenzo Sofo, “ideologo” e ispiratore della nuova Lega a trazione nazionalista e consulente per la Regione Lombardia, il giornalista Gerardo Greco e Jacques de Guillebon, intellettuale di destra francese, fondatore de L’Incorrect. Tutti chiamati (e coordinati dal giornalista Alessandro Giuli) per fare il punto sulla situazione attuale, cioè definire origine e futuro dei nuovi “barbari” e capire dove vogliono andare.
«Populismo è un termine vuoto, definisce lo stile e non il programma», rincara. I contenuti sono altro: interesse nazionale – anzi, nazionalismo –, patriottismo, indipendenza, sovranità, radicamento nel territorio e, soprattutto, una cultura comune. Per questo, aggiunge, «provo simpatia per Donald Trump e anche per Vladimir Putin» ma «non vorrei mai un’Europa sottomessa alla loro volontà».
Dopo una breve assenza dalla vita politica e uno strategico cambio di cognome (preferisce Maréchal per distanziarsi dall’eredità parentale) è tornata alla ribalta con il compito di seguire il progetto culturale del partito: una scuola di politica, l’Issep (Institute de science sociales, économiques et politiques) che partirà a Lione nel settembre 2018, per creare «un’alternativa all’egemonia culturale della sinistra, che tuttora mantiene posizioni forti nell’università, nei media e nel sistema educativo». La formula è gramsciana e così l’ispirazione: «Prima di vincere sul piano politico bisogna vincere sul piano culturale», esprimendo un’élite nuova e alternativa di stampo populista, o per meglio dire, sovranista e identitaria.
Il progetto riflette la mentalità francese, cioè formare la classe dirigente attraverso scuole superiori iperselettive, ma sarebbe esportabile anche in Italia, perché «è un Paese simile, con una élite simile», cioè «sradicata dal territorio, composta da migranti spirituali» che dimenticano o ignorano la loro tradizione le loro radici. E allora si risponde con «storia, filosofia, letteratura», ricorrendo alla cultura umanis
La scuola di formazione politica nasce da un’ispirazione gramsciana: «Prima di vincere sul piano politico bisogna vincere sul piano culturale»
tica del proprio Paese per contrastare lo sfilacciamento del popolo, «confuso dal polimorfismo della destra e della sinistra: si pensi che il liberalismo nasce di sinistra, poi passa a destra e poi torna a sinistra». Questa destra è invece patriottica, nazionalistica e cattolica. Tutto il contrario di Emmanuel Macron che «ha fatto molto male a offendere in quel modo l’Italia». E strappa applausi.
Sì, ma. Come si può fare un’internazionale di nazionalisti? Qui, si chiede Greco, c’è sempre il rischio di trovare qualcuno più nazionalista di te. Come si conciliano gli interessi propri con la prospettiva di un’azione comune? Secondo Marion Maréchal-Le Pen e Jacques de Guillebon (che sarà professore nella sua scuola) è possibile. Il fronte comune è ampio, le lotte numerose. Ad esempio quella contro l’immigrazione sregolata, che costituisce una minaccia alla tenuta di un Paese perché «dissolve la fraternità», cioè «la fiducia che si è disposti a dare ad altre persone», molto difficile da accordare a chi «mantiene valori, idee e abitudini del tutto diverse e incompatibili». O quella contro un’Europa che schiaccia le economie del Mediterraneo («che fine ha fatto lo sviluppo dei rapporti con il Nord Africa?», si chiede Vincenzo Sofo) per avvantaggiare quelle continentali. Lei risponde in italiano, divertita: «Tutti i giornalisti me lo chiedono: noi, anche se siamo di Paesi diversi, difendiamo la civiltà e l’indipendenza».
Ma per un Rassemblement nazionale ancora all’opposizione in Francia, risponde una Lega al governo insieme al Movimento Cinque Stelle. L’Italia, in questo senso, è un laboratorio per tutta Europa: «Salvini non si ferma mai», spiega Rixi, «e anche se su certi temi sarà necessario sedersi e ragionare», è anche vero che «affrontare certe questioni di slancio ha effetti generali». Significa che «la pressione esercitata sul tema migratorio ha costretto Germania e Francia a rivedere le proprie posizioni, ha lanciato un segnale a tutta Europa. E questo», appunta, «è importante per preparare il territorio alla legge finanziaria». Tutto si tiene, tutto è legato, insomma: dietro a un braccio di ferro tra Paesi se ne nasconde un altro. E dietro a una istanza culturale si intravede un concreto disegno politico.
Ma come si può fare un’internazionale di nazionalisti? C’è sempre il rischio di trovare qualcuno più nazionalista di te. Come si conciliano gli interessi propri con la prospettiva di un’azione comune?
E allora, se Guillebon, da francese, si sente «fuori dalla storia» perché nel suo Paese «governa ancora l’élite incarnata da Macron» quando lo spirito del tempo va verso le destre nazionalistiche, è anche vero che, come dice Toti, «il nazionalismo deve essere moderno», abbandonando «quella nostalgia da piccolo mondo antico, chiusa in sé stessa, che è solo deleteria». L’impero romano «ha cominciato il suo declino quando ha eretto i muri, i valli, le frontiere. Quando cioè ha smesso di assimilare le altre popolazioni. Il nostro orgoglio nazionale non deve dissolversi di fronte all’altro, ma deve comprenderlo in sé. Deve espandersi, non richiudersi». Forse a Donald Trump non piace questo elemento, ma l’argomentazione è sensata. La cultura deve prevalere e aggiungere, non isolare. Marion Maréchal approva.
E forse è proprio per questo, cioè per una Francia che conquista e assimila, che lei tiferà per i bleus alla finale – e scherzando invita l’amico Sofo a farlo. Salvini, invece, sta con i croati. Almeno sul campo da calcio l’internazionale dei nazionalisti, si può dire, non comincia molto bene.