Non c’è Googlemaps che tenga: arriva sempre il momento in cui il fottuto geolocalizzatore ti indica un percorso che non c’è, o non ti indica un ostacolo che c’è, e ti trovi a girare stupidamente da qualche parte della Paullese (Mi) o in qualche sentiero estivo intorno a Ponte Di Legno (Bs), o in qualche strano bivio dalle parti di Carrapipi (Valguarnera Caropepe, Rg), imprecando, perdendo tempo, e sentendo salire una qualche ansia metafisica.
Metafisica perchè orientarsi è un mistero. Sembra una semplice questione di triangolazione spaziale e invece c’è di più. Qualcosa che ha a che fare con l’idea regolativa di un Tutto. Gli etologi impazziscono per capire le sparizioni e riapparizioni di varie specie animali, perfezionando i sistemi di tracking, seguendo un buco nero concettuale secondo cui le bestie vedono più chiaro di noi. A noi per capire dove siamo spesso (anzi sempre) conviene stare attenti a come stiamo.
L’esempio più bello è quello dello scrittore/esploratore più spaesato del 900, che risponde al nome di Bruce Chatwin (1940-1989). ll libro per cui è universalmente noto ha un nome che è un manifesto: Che ci faccio qui. E un altro suo capolavoro è Anatomia dell’irrequietezza. Ecco, Chatwin è l’irrequietezza. Il paradigma del “mollo tutto e scappo via”: occhio eccezionale, aveva un lavoro come valutatore di opere d’arte da Christie’s, la casa d’asta londinese. Specialista in impressionisti. Mollò a 26 anni per studiare e viaggiare. Assunto dal Sunday Times, mollò dopo qualche mese con un messaggio: “sono in Patagonia”. C’era andato davvero, e “In Patagonia” (1977) è il suo primo successo.
Chatwin, valutatore di oper d’arte da da Christie’s, mollò a 26 anni. Per studiare e viaggiare. Assunto dal Sunday Times, mollò dopo qualche mese con un messaggio: “sono in Patagonia”. C’era andato davvero
Ma avrebbe potuto trovarsi ugualmente sull’altopiano di Asiago, o a Campotosto, o nel misteriosissimo lago Nero, sugli appennini tosco/emiliani, perché per lui (che come scrittore ha il merito di avercelo rivelato) trovarsi in un posto non è un fatto solo fisico, stile googlemaps. Lo spazio non è solo spaziale. È “esistenziale”. E un muoversi imbevuti di ricordi e aspettative, di intenzioni buone (quelle che ci aprono occhi, orecchie e testa), e cattive (quelle che chiudono occhi orecchie e testa). Non il dove si sta ma il come si sta, Paullo, Carrapipi o Patagonia.
Lui, Chatwin, si fissava. Si innamorava alla follia delle cose. Avrebbe voluto scrivere un libro sul colore rosso. Avrebbe voluto scrivere un libro sugli abiti femminili, e negli ultimi anni ne aveva comprati a tonnellate per studiarli. E si perdeva nei posti.
Nel viaggio e nell’orientamento c’è, definitivamente, più del fatto fisico e spaziale. Come nell’esempio degli aborigeni australiani. I suoni delle voci evocano un mondo del sogno, che, contro tutte le aspettative, funziona. Viene usato. Orienta.
E li raccontava con delle inesattezze, che non erano errori. Per gli amici (e i critici) aveva la tendenza irrefrenabile a esagerare le cose, ma invero i suoi “errori” erano modi di dire quello che non è quantificabile/verificabile/googlemappabile.
Nel viaggio e nell’orientamento c’è, definitivamente, più del fatto fisico e spaziale. Pensate siano pseudomagie? Fesserie? Comprate Le vie dei canti (Adelphi, come tutti i libri di Chatwin), il romanzo/resoconto del viaggio tra gli aborigeni australiani. Loro si orientano perfettamente seguendo un filo di voci, da villaggio a capanna sperduta, anche nelle notti senza stelle. Canti che non spuntano a caso, modi di evocare le divinità locali, modi di dare voci a totem.
Vie di mezzo manuali liturgici, trattati storici, e legali, e mappe. Ma non scritti, cantati. I suoni delle voci evocano un mondo del sogno, che, contro tutte le aspettative, funziona. Viene usato. Orienta. Anzi Chatwin, il geniale spaesato parla di “Dreamtime”, “tempo del sogno”: significa appunto che l’orientamento non è una faccenda spaziale ed esteriore, ma temporale e interiore. Chatwin è scomparso a 49 anni, morto di Aids nel 1989, tra le tantissime opere che aveva pensato, progettato e mai scritto c’era un libro in diverse lingue a eccezione della sua. E a noi non resta che ripassare la lezione delle balene e degli aborigeni, prima di perderci a Carrapipi.