Dopo la tregua nella battaglia contro Uber, ora i tassisti litigano tra loro. E la “colpa” è sempre di un’app che sta smuovendo un mercato rimasto immobile per molto tempo. Stavolta al centro dello scontro c’è MyTaxi, l’applicazione del gruppo tedesco Daimler, che ha appena portato a casa una vittoria con la sentenza dell’Antitrust che stabilisce – senza comminare sanzioni – che le clausole di esclusiva imposte ai tassisti da alcuni operatori di radiotaxi sono anticoncorrenziali e quindi devono essere eliminate. Tradotto: i tassisti devono potersi affiliare a MyTaxi senza esser costretti a lasciare le cooperative alle quali sono già iscritti. Dal 9 luglio, le società di taxi hanno 120 giorni per mettersi in regola e far cadere ogni vincolo, ma in tante annunciano già ricorsi al Tar. A partire dalla romana 3570, che ha 3.700 vetture in giro per la Capitale.
MyTaxi, con 100mila tassisti iscritti in 150 città europee, è arrivata in Italia nel 2015. Prima a Milano, poi a Roma (2016) e infine a Torino (2017). Il tassista si iscrive e mette a disposizione un certo numero di corse. Il passeggero scarica la app sullo smartphone, vede qual è la macchina più vicina e la prenota, pagando con carta di credito. «Ma il leitmotiv dei tassisti che venivano da noi era sempre lo stesso: “Bellissimo, però ho l’esclusiva e non posso iscrivermi. Sarebbe ottimo avere due servizi”, dicevano», racconta Barbara Covili, general manager di MyTaxi in Italia. Qualche tassista così è stato costretto a dimettersi dalla cooperative per passare a MyTaxi. Qualche altro si è iscritto “di nascosto”. E per chi è stato “scoperto” non sono mancati gli episodi di tensione con i colleghi.
Dal 2015 a oggi i tassisti italiani che hanno aderito alla app sono stati 850 a Milano, 2.000 a Roma, 150 a Torino. «Dopo diverse centinaia di segnalazioni, abbiamo deciso di rivolgerci all’Antitrust», spiega Covili. «È chiaro che sei sei costretto a lasciare il vecchio per una realtà nuova, senza garanzia del lavoro, hai paura. E così il mercato resta immobile». Con conseguenze sui tassisti, ma anche sui passeggeri, spiega: «Per gli utenti si crea un mismatching, perché l’esistenza dell’esclusiva comporta che chiamando una sola compagnia di radiotaxi non hai accesso a tutta l’offerta dei tassisti a disposizione in una città, con un aumento dei tempi d’attesa e dei costi».
Per gli utenti si crea un mismatching, perché l’esistenza dell’esclusiva comporta che chiamando una sola compagnia di radiotaxi non hai accesso a tutta l’offerta dei tassisti a disposizione in una città, con un aumento dei tempi d’attesa e dei costi
Le società coinvolte dal provvedimento dell’Antitrust sono sei: tre a Roma (Radiotaxi 3570, Samarcanda e Pronto Taxi 6645) e tre a Milano (Taxiblu, Yellow Taxi e Autoradiotassì). Nel 2014, sulla scia delle controversie con Uber, l’Unione Radiotaxi d’Italia, una sorta di Confindustria dei radiotaxi, ha lanciato la sua applicazione, che riunisce oltre 50 società in tutta Italia. E da poco anche la cooperativa Samarcanda si è fatta la sua applicazione (AppTaxi).
Ma si tratta di iniziative nate dalle società delle auto bianche, che non cambiano le regole del gioco. Oggi ogni tassista paga una quota d’ingresso al numero di radiotaxi a cui aderisce, più una retta mensile che va dai 180 ai 220 euro. MyTaxi, invece, trattiene al tassista il 7% sulla corsa portata a termine, senza tasse di iscrizione, quote mensili né commissioni aggiuntive per il Pos. E le iniziative per attirare clienti, e tassisti, non sono poche: dal coupon di benvenuto, alla campagna di sconti da e per gli aeroporti. Il cliente paga di meno, MyTaxi integra la tariffa, e il tassista riceve l’intero pagamento senza sconto. Senza dimenticare che le applicazioni sugli smartphone facilitano la fruizione del servizio per i turisti, che così non sono obbligati a telefonare ai radiotaxi, con i problemi di lingua che questo comporta.
La sentenza dell’Antitrust, ora, ha aperto uno spazio di manovra nuovo per i tassisti che vogliano diversificare le possibilità di lavoro, ma anche per le nuove app che vogliano sbarcare in Italia (negli altri Paesi europei le clausole di esclusiva non esistono). L’autorità nel 2010 ha già contestato come il servizio dei taxi in Italia non riesca «a coprire interamente i bisogni della popolazione». Con il precedente governo si era anche aperto un tavolo di discussione per una modifica della legge 21 del 1992 sul trasporto pubblico non di linea. Ma la riforma non è mai arrivata. E difficilmente si rimetterà mano al testo con l’attuale governo, considerando le passate dichiarazioni dell’attuale ministro dei Trasporti Danilo Toninelli a favore dei tassisti.
Ma il caso MyTaxi è diverso da quello di Uber. «Non abbiamo mai avuto problemi di tipo normativo», dice Barbara Covili. «La discussione sulla legge 21 del 1992 non ci interessa. Noi ci muoviamo perfettamente nel perimetro delle leggi esistenti, lavorando con tassisti con regolare licenza. E ora la sentenza dell’Antitrust apre il mercato a maggiori possibilità sia per i tassisti, sia per i nostri concorrenti, ma anche per i passeggeri».