Precari e rider, Di Maio fa il leone in Italia e il coniglio in Europa

In Italia il ministro annuncia la “Waterloo del precariato” con il decreto dignità, ma in Europa non si oppone al blocco dei Paesi dell’Est che esclude dalla Direttiva Ue sulle tutele diverse categorie di lavoratori

(Foto: Afp)

In trincea in Italia, nelle retrovie in Europa. A Roma il ministro del lavoro Luigi Di Maio annuncia la battaglia per i diritti dei rider e la “Waterloo del precariato” con il decreto dignità. A Bruxelles, il governo italiano sulle tutele dei lavoratori mostra tutt’altro che il pugno duro.

In queste ore nei palazzi europei si sta discutendo la direttiva sulle “Condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili”, che fa parte del pilastro sui diritti sociali varato il 17 novembre scorso dal vertice Ue dei capi di governo. Un “pacchetto” che porterebbe all’accesso universale dei lavoratori a un sistema di protezione sociale unico, dagli impiegati ai rider, indipendentemente dal contratto. L’obiettivo è creare un cappello europeo che armonizzi le tutele, e che poi i singoli Stati dovrebbero recepire negli ordinamenti nazionali. Ma, a sentire i sindacati, l’Italia si sta mostrando molto «debole». Una storia che si ripete, direbbe qualcuno, dal bail-in alla riforma del Trattato di Dublino.

La Commissione europea ha presentato il primo testo della direttiva sul lavoro a dicembre, riformata poi dal Parlamento. E a giugno il Consiglio Epsco, composto dai ministri del Lavoro dei 28 Stati membri, tornati a riunirsi il 19 e 20 luglio, ha approvato la sua posizione negoziale. Ma abbassando i vincoli, ed escludendo dalle tutele intere categorie di lavoratori. Restano fuori i dipendenti pubblici, i lavoratori autonomi, i marittimi e gli occasionali che lavorano meno di cinque ore a settimana (la proposta della Commissione era di tenere fuori quelli che lavorano meno di otto ore al mese).

E il governo italiano, raccontano i sindacati, non intende prendere posizioni contrarie sui punti al ribasso presentati dal Consiglio, avallando di fatto l’atteggiamento dei Paesi “alleati” (sul fronte immigrazione) del blocco di Visegrad, che sui diritti e il costo dei lavoratori mirano a fare dumping nei confronti degli altri Stati per favorire la delocalizzazione delle aziende occidentali.

Il Consiglio Epsco nella sua posizione ha escluso dalle tutele universali i dipendenti pubblici, i lavoratori autonomi, i marittimi e gli occasionali che lavorano meno di cinque ore a settimana. Su questi punti il governo italiano non si opporrà

La direttiva rinnova l’ultimo testo sul tema, che risale al 1991. E punta anzitutto a definire il termine “lavoratore”. Non una semplice questione lessicale. Il testo ha l’obiettivo di far sì che anche ad atipici, part-time, freelance, autonomi, precari e rider, sia nell’economia tradizionale che in quella digitale, vengano riconosciute le stesse tutele dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. Come conferma anche Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), il governo italiano ha assicurato che appoggerà questo primo punto. Un nodo che invece sia la Germania dei 5 milioni di minijob sia i Paesi dell’Est stanno tendando di “annacquare”, cercando di escludere quante più fasce di lavoratori dalle tutele universali. Sugli altri punti del testo, però, il governo «non si batterà, non farà lobbying», spiega Cinzia Del Rio, responsabile del dipartimento internazionale della Uil, il sindacato che a Milano ha dedicato un convegno alla gig economy, nel corso del quale un rider ha preferito intervenire indossando una maschera per paura di essere licenziato. «Nello scacchiere europeo», spiega la sindacalista, «gli Stati che stanno facendo di più sono la Francia e i Paesi scandinavi. Ma questi ultimi temono addirittura che la direttiva intervenga troppo nella legislazione nazionale, portando le aziende al rivedere al ribasso i sistemi di welfare».

Ora la palla passerà al trilogo, ma il Consiglio dovrà votare all’unanimità. E poiché il presidente della Commissione Ue Jean Paul Juncker mira a portare la direttiva a casa come parte del “pilastro” prima delle europee del 2019, la previsione è che il testo sarà al ribasso, lasciando poi agli Stati grosso spazio di manovra nella regolamentazione delle tutele della gig e della platform economy. Con la benedizione dei Paesi dell’Est, amici di Matteo Salvini e del governo italiano, che potranno continuare a fare dumping sui lavoratori.

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