Saviano e gli intellettuali non bastano: ecco perché quella del Pd è un’opposizione autolesionista

L'ostinato autolesionismo con cui i dem spingono allo scoramento il proprio elettorato è inspiegabile. E la vicenda sull'emendamento al decreto Dignità è solo l'ultimo, emblematico esempio. Una confusione che lascia allibiti

Magari sarebbe meglio l’Aventino, il pop corn, le ferie anticipate, che si capiscono le difficoltà del momento – fare conflitto contro chi viaggia con il vento in poppa, sospinto da un crescente innamoramento del Paese – ma risulta inspiegabile l’ostinazione autolesionista con la quale l’opposizione di sinistra (l’unica in campo: Forza Italia, in fondo, con un pezzo del governo è alleata e più di tanto non può fare) spinge allo scoramento se non alla maledizione il suo stesso elettorato.

La vicenda dell’emendamento contro l’aumento delle indennità di licenziamento è più che un incidente di percorso, è il simbolo di un corto circuito del pensiero e dell’azione politica. Lo si scrive, interpretando le aspettative dell’impresa preoccupata dei nuovi costi che si profilano. Lo si difende per giorni con argomentazioni piuttosto fumose. Poi, ieri, lo si lascia scivolare nel cestino, travolti dalle polemiche interne ed esterne. Salvo scoprire che ce n’è uno identico di Forza Italia che andrà comunque in votazione, e quindi toccherà pure decidere se votare sì, no, oppure (più probabile) boh.

Dice: era farina del sacco dei renziani, presentata all’insaputa degli altri. Ma anche di questo racconto non se ne può più, e di sicuro sarebbe meglio l’Aventino, il pop corn, le ferie anticipate piuttosto che questa opposizione a corrente alternata, oggi à la Macron e domani tendenza Corbyn, aziendalista con la mano destra e cigiellista con la sinistra, che si trova d’accordo solo quando parla di massimi sistemi tipo la democrazia minacciata ma quando scende dalle nuvole al terra-terra non sa dire nemmeno se è d’accordo oppure no con un fatto così banale come l’assegno di fine rapporto.

Dice: era farina del sacco dei renziani, presentata all’insaputa degli altri. Ma anche di questo racconto non se ne può più, e di sicuro sarebbe meglio l’Aventino, il pop corn, le ferie anticipate piuttosto che questa opposizione a corrente alternata, oggi à la Macron e domani tendenza Corbyn, aziendalista con la mano destra e cigiellista con la sinistra, che si trova d’accordo solo quando parla di massimi sistemi tipo la democrazia minacciata ma quando scende dalle nuvole al terra-terra non sa dire nemmeno se è d’accordo oppure no con un fatto così banale come l’assegno di fine rapporto

E si capiscono le difficoltà del mondo del giornalismo, della scrittura, del cinema e del teatro – in una frase: quello a cui si rivolge Roberto Saviano nel suo appello alla rivolta intellettuale – nell’esporsi contro l’utopia grillo-leghista utilizzando l’arma dell’intransigenza e dell’attivismo politico.

Persino se fosse vera la lettura sul fascismo alle porte, e se ci fossero in giro dei Montale e degli Alvaro, servirebbero un Amendola, un Calamandrei, un Salvemini ai quali appendere la ribellione dei poeti. Ma qui i politici che dovrebbero dar volto alla resistenza sembrano del tutto fuori gioco, forse ancora rintronati dallo choc elettorale, di sicuro incapaci di dare una direzione al loro lavoro oltre ai giochi di parole su twitter.

Così, anche quelli che si fanno avanti e rispondono alla chiamata alle armi di Saviano, lo fanno in modo indispettito e critico. «Si fa appello a scrittori, registi e intellettuali per sostituire la mancanza di qualcun altro», dice il drammaturgo Stefano Massini. «Quel che manca è una rappresentanza politica all’altezza», incalza la scrittrice Helena Janaczek. «Può l’Italia consentirsi di non avere più un’opposizione?» si chiede il regista Roberto Andò. «Noi ci battiamo ma la politica tace», replica Michela Murgia. Gli altri, quelli che non si sbilanciano, hanno già capito l’antifona. E una volta tanto non è soltanto questione di convenienza ma anche di razionalità: l’armiamoci e partite è un gioco che non funziona più. «Manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto», come diceva una vecchia canzone.

Il vero trauma di questo passaggio, tuttavia, è nello scoprire l’afasia delle opposizioni di sinistra sul terreno del lavoro, che era stato la bandiera della campagna elettorale e, più oltre, il perno della critica politica al M5S nell’ultimo quinquennio. È forse comprensibile un’alta dose di incertezza in materia di immigrazione, ordine pubblico, relazioni con l’Europa, dove la linea del governo è popolarissima e apparentemente imbattibile, ma non aver nulla da dire – o così poco da dire, e in modo così contraddittorio – su precarietà e licenziamenti, impresa e incentivi, indennità e contratti a termine, suggerisce davvero l’idea che sarebbero meglio le ferie anticipate, l’Aventino, il pop corn, che questa battaglia priva di bussola e, in fondo, anche di coraggio.

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