Il risveglio è uno shock: 17 per cento contro 62,5 per cento. Sono questi i numeri, impietosi, fotografati dal sondaggio pubblicato in mattinata dal Corriere della Sera, con il Pd in caduta libera (quasi due punti in meno rispetto alla precedente rilevazione) e Lega e Cinque Stelle a contendersi il primato tra il 31 e il 31,5 per cento dei consensi. Roba che neppure nell’Ungheria di Orban, quasi ai livelli della Russia di Putin.
È in questo scenario che Maurizio Martina si trova a dover affrontare le riunioni della segreteria e della Direzione dem, al Nazareno, nel pomeriggio. Praticamente uno psicodramma. Complicato dal fatto che, involontariamente, il Pd ha fornito un assist sontuoso alla propaganda grillina, proponendo un emendamento al “decreto dignità” contrario all’aumento dell’indennizzo per i lavoratori licenziati in maniera illegittima. Certo, non era questo l’obiettivo di chi l’ha presentato (che anzi, in un altro emendamento chiedeva l’introduzione dell’indennizzo anche per i contenziosi) ma tant’è, la frittata è fatta. Vallo a spiegare, ora, che è stato tutto un malinteso.
La riunione dell’esecutivo dem verte tutta su questo. Ma si fatica a trovare una sintesi convincente e quindi si decide di rimandare tutto alla Direzione pomeridiana. La scena è di quelle che normalmente si vedono solo nelle riunioni per approvare il bilancio o per sbrigare questioni burocratiche. La sala al terzo piano del Nazareno fatica a riempirsi, molte sedie rimangono vuote. I renziani sono in ritirata, relegati nell’ala destra (non a caso) dell’assise. Renzi, Lotti e Boschi non si fanno vedere. È la metafora del momento che sta vivendo il Pd, avvitato su una discussione politica interna che sembra ormai senza fine.
In questo contesto, per Martina, l’impresa di ridare vigore all’azione politica del Pd è praticamente impossibile. Durante la riunione del parlamentino dem, uno scatto d’orgoglio: «Chiamiamo ogni cosa con il giusto nome: quello di Di Maio è un decreto disoccupazione, altro che decreto dignità». Applausi dall’ala renziana. «Sfidiamo il governo, siamo a pronti a discutere se loro sono disponibili ad analizzare le nostre proposte». E questa volta i soldati dell’ex leader storcono il naso, pronti ad immolarsi sull’altare del Jobs Act
«Qua sta andando tutto a rotoli, se andiamo avanti così in autunno stiamo al 10 per cento», dice un deputato di fede renziana. «Se non comincia subito il nuovo corso, alle europee sarà un bagno di sangue», ribadisce un esponente della minoranza. Significativo che entrambi giungano alla stessa conclusione: «Serve il congresso subito, serve una data e dei candidati in campo davvero». Un concetto che viene ribadito, dal palco della Direzione, dal segretario del Pd Emilia-Romagna, Paolo Calvano: «Sul territorio ci stiamo deprimendo, serve uno shock e l’unico shock possibile è il congresso». Anche perché, in questa fase, i renziani imputano a Martina le responsabilità del calo di consensi e i non renziani al fatto che si sia ancora ancorati a una stagione finita (quella del renzismo, appunto) ma che continua a stare arroccata nei posti di comando.
In questo contesto, per Martina, l’impresa di ridare vigore all’azione politica del Pd è praticamente impossibile. Durante la riunione del parlamentino dem, uno scatto d’orgoglio: «Chiamiamo ogni cosa con il giusto nome: quello di Di Maio è un decreto disoccupazione, altro che decreto dignità». Applausi dall’ala renziana. «Sfidiamo il governo, siamo a pronti a discutere se loro sono disponibili ad analizzare le nostre proposte». E questa volta i soldati dell’ex leader storcono il naso, pronti ad immolarsi sull’altare del Jobs Act.
Se ne esce con l’ennesima, estenuante, sintesi: attraverso lunghe e complicate discussioni con i gruppi parlamentari, l’emendamento che ha fatto tanto discutere verrà ritirato e verrà presentato un nuovo pacchetto di emendamenti che definiranno la strategia del Pd sulla questione. È lo specchio di una situazione ormai davvero preoccupante. Che sta per presentarsi in tutta la sua drammaticità, quando ci saranno da discutere le nuove regole per il congresso. Orlando incalza Martina: “Continui a dire che bisogna cambiare le regole, allora fai almeno una proposta perché sennò parliamo di niente”, questa la libera sintesi del suo discorso. «Saranno mesi difficili – chiosa un parlamentare di lungo corso – al termine dei quali tutto sarà cambiato o tutto rimarrà uguale. In entrambi i casi, si salvi chi può».