Viva i comunisti (e i radical chic) col Rolex. E abbasso l’ignoranza (e i populisti) senza Rolex

Viviamo in un mondo in cui dare dell'intellettuale a qualcuno è diventato un insulto, in cui chi sa le cose è diventato un comunista col rolex, Ma la vera ipocrisia sta nel fatto che anche gli idoli del “popolo” sono radical chic. Eppure l'unica soluzione è affidarsi a chi ha le competenze

Torben Christensen / Ritzau Scanpix / AFP

È tutta colpa di Fedez e J- Ax. Soprattutto di Fedez.
Questo è il primo assunto. Il primo dogma. Prendiamolo e mettiamolo lì, da una parte.
Ricominciamo.
Avete rotto il cazzo. Sì, avete rotto il cazzo con questa faccenda che se uno vi fa tanto tanto notare che state dicendo idiozie, e che le state dicendo in una modo esteticamente orripilante, beh, allora è un radical chic, un comunista col Rolex.
Non ho il Rolex. Non ho neanche l’orologio, figuriamoci.
Di più, avessi i soldi da buttare non sarebbe certo in un Rolex che li investirei. Mi comprerei, piuttosto, una chitarra Noah, da 17mila euro. Numerata. Fatta apposta per me. E fanculo il Rolex. Ma non ho neanche niente contro chi ha il Rolex. E a differenza vostra so bene cosa significa Radical Chic. Ho letto Tom Wolfe. L’ho anche conosciuto. L’ho studiato. E l’ho fatto perché ambivo a essere un intellettuale. Un intellettuale riconosciuto come intellettuale. Erano altri tempi, è vero, i ministri non irridevano chi studiava e ambiva a fare cultura dicendo che “pane e Dante non si mangia”. I sottosegretari ai Beni Culturali non si vantavano di non essere mai andati a teatro o di non leggere un libro da tre anni. Essere ignoranti non era nulla di cui andar fieri. Non lo è mai stato. Non dovrebbe esserlo neanche adesso. Perché l’emancipazione passa anche e soprattutto dalla cultura. E la cultura ci offre gli strumenti per decodificare il presente, l’oggi, per confrontarci con esso e uscirne illesi.

Ma poi è arrivato Fedez, col suo pard J-Ax, che ha fatto quella merda senza artista di Comunisti col Rolex, e di colpo quello che un tempo era il cachemire dei maglioncini di Bertinotti si è trasformato in un brand anche piuttosto volgare, a dirla tutta. La gente, perché è della gente che oggi tocca temere il giudizio, ha identificato nella ricchezza e nella cultura di una parte politica rea, ai loro occhi, di non aver fatto niente per loro, a vantaggio di quanto fatto per negri e zingari, in questa perenne guerra tra poveri (quella guerra tra poveri che uno come Fusaro sta cavalcando manco fosse a un rodeo), il vero problema. Questo ha ingenerato una corsa verso il basso, un allontanamento arrogante dalla cultura, dall’idea di conoscenza, anche solo da quella di competenza. Tutti sono diventati ladri. Tutti quelli che c’erano prima.

E di qui si è ingenerata la credenza che bastava non essere ladri per essere in grado di gestire la cosa pubblica. In assenza di una controprova, certo, la faccenda potrebbe anche passare per buona, ma i primi risultati stanno dimostrando che così non è. Intellettuale, esattamente come era quel Tom Wolfe che ha coniato la parola Radical Chic non certo per descrivere se stesso, è diventato un insulto. Come ricco. Seppur la ricchezza è rimasta l’ambizione prima cui tutti guardano, prova ne è la grande ammirazione della massa per quelle scorciatoie che portano al successo, e quindi alla ricchezza, in assenza di talento (la versione artistica della competenza che si dovrebbe richiedere ai politici e agli amministratori).

La gente, perché è della gente che oggi tocca temere il giudizio, ha identificato nella ricchezza e nella cultura di una parte politica rea, ai loro occhi, di non aver fatto niente per loro, a vantaggio di quanto fatto per negri e zingari, in questa perenne guerra tra poveri (quella guerra tra poveri che uno come Fusaro sta cavalcando manco fosse a un rodeo), il vero problema

Questo l’hanno ben capito i politici del centro destra, che si sono lasciati andare a una semplificazione della realtà talmente elementare da essere scritta in stampatello maiuscolo. Facile stare coi poveri se si ha l’attico a New York. Insomma, ci siamo capiti. Ma la ricchezza, pensateci, a volte è oggetto di un riscatto, mica sempre risultato di un furto o del culo di essere nati in una determinata casata.

Veniamo agli ultimi giorni.

Due sono gli argomenti che ci stanno sollevando dalla depressione cronica. I mondiali di calcio, seppur con qualche disinguo, e il concerto di Eminem a Milano. I primi sono sempre oggetto di piacere fisico. Lo sarebbero anche quest’anno, con le solite favole che il calcio riesce a regalarci, le perfette metafore che in realtà vivono solo nelle nostre teste, ma tant’è. Poi, però, la voglia di sangue della gente spinge molti a sottolineare come sia bello che a tornarsene a casa siano i multimiliardari come Cristiano Ronaldo, Messi, Neymar. Come se i calciatori rimasti in gioco fossero in realtà operai prestati part-time al calcio. Così ovviamente non è. Ma il calcio è riscatto, tra le altre cose. E in questo riscatto non può non iscriversi Modric, insieme a Hazard del Belgio considerato la vera stella di Russia 2018. Modric è molto bravo. Chi è abbastanza vecchio come me non può non pensare a un Cruijff. Un Cruijff oggi, ovviamente. Stessa visione di gioco, seppur il gioco di oggi sia profondamente cambiato, anche per merito (o colpa) di Cruijff. Stesso passo stralunato e nervoso, poco muscolare, in campo. Bene. Tutti applaudono Modric. Giustamente. Anche perché vedere la Croazia lì, in semifinale, è qualcosa che appaga con l’idea di calcio.

Bene. Modric è un miliardario (oggi dovremmo dire milionario, ci siamo intesi). Gioca nel Real Madrid, non nell’Albinoleffe. Un miliardario divenuto miliardario tirando calci a un pallone, non salvando vite o facendo scoperte scientifiche. Quindi in teoria dovrebbe essere il male. Ma Modric era anche un povero, fino a poco tempo fa. Di più, un profugo. Quando aveva cinque anni ha assistito alla fucilazione, sommaria, di suo nonno. Ha poi vissuto in un campo profughi dove ha cominciato a tirare calci a un pallone e dove, nonostante l’eccessiva magrezza, caratteristica che lo contraddistingue anche oggi, è stato notato da gente che di pallone capiva. Fino a oggi. Discorso analogo si potrebbe fare per Eminem, nato e cresciuto in un ghetto di Detroti, andate a recuperarvi il biopic 8 Mile per credere, un posto dove, chi scrive ci è andata, all’epoca della sua esplosione, anche solo a passarci in auto ti si stringe il buco del culo che non ci potresti far passare uno spillo. Un ragazzino biondo in un ghetto di afroamericani, minoranza in un luogo frequentato da minoranze. Poi è diventato Eminem, però. Uno capace di fare successo usando le parole, facendo rap. Non salvando vite. Non facendo ricerche scientifiche.

Bene. Modric è un miliardario (oggi dovremmo dire milionario, ci siamo intesi). Gioca nel Real Madrid, non nell’Albinoleffe. Un miliardario divenuto miliardario tirando calci a un pallone, non salvando vite o facendo scoperte scientifiche. Quindi in teoria dovrebbe essere il male. Ma Modric era anche un povero, fino a poco tempo fa. Di più, un profugo

La gente adora vedere Modric giocare.

La gente adora ascoltare le canzoni di Eminem, erano in ottantamila a Milano, per vederlo per la prima volta dal vivo in Italia.

Loro sono due comunisti col Rolex (Modric proprio comunista no, magari, ma ci siamo capiti).

Voi, gente, ragionate con la pancia. Volete essere guidati da vostri simili che, in quanto vostri simili, non capiscono un cazzo e con ogni probabilità vi porteranno a fare la stessa fine di Atene quando, in un passato neanche troppo lontano e comunque ben descritto in quegli strani oggetti rettangolari fatti di carta che si chiamano libri, implode. Perché ci si dovrebbe affidare a chi sa fare, non a chi è come noi, come voi. Come si dovrebbe ambire a crescere, culturalmente, socialmente.

E poi, e che cazzo, non potete star lì a sentire a massimo volume Guè Pequeno che sbraita cazzate sulle Lamborghini e incazzarvi per Saviano o per la Boldrini. Guè Pequeno fa il rapper, è vero, ma non si è riscattato da nulla. Era ricco. È ancora più ricco. E per di più non è neanche una bella storia da raccontare, la sua, come quella di Fedez.

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