Aretha Franklin non è una popstar

Una cantante ma non un’icona. La Franklin è il perfetto contrario delle popstar che ci piacciono tanto. Nel caso non è importante la rappresentazione. Ma due cose antiche: il talento e la disciplina

Per un attimo sarebbe bene mettere via le fotografie, le icone, i superlativi di diritto divino (“La regina del soul”), le lacrime di Obama (uno che riesce a essere figo anche quando piange non è attendibile) al suo concerto. E naturalmente le implicazioni politico liberatorie, che pure ci sono e sono dirompenti, di un brano come Respect. E poi la faccenda della prima gravidanza a dodici anni, in un tempo e in un ambiente in cui la morale era molto diversa dalla nostra: BB King raccontò di aver avuto il suo primo rapporto a sei anni, con una bambina di otto: né l’uno, né l’altra ci trovavano niente di strano. E le botte del marito/manager Ted White, che si manteneva facendo il lo sfruttatore di prostitute (pratica diffusa, lo fece anche Miles Davis per un po’ di tempo). E pure l’appetito sessuale fuori misura, e la voracità di pollo fritto egualmente smisurata. Meglio metter via insomma tutto il repertorio di gossip, significati, iconografia che serve tanto ai giornalisti per parlare di qualcosa di antiverbale -sostanzialmente idiota- come la musica. E anche la visione pop. Quando si scollano i lustrini dello Spirito del tempo le cose si mostrano per quello che sono: c’è il modernariato e il bric a brac che prendono polvere, e poi ci sono i classici, le opere che non prendono polvere. E appunto Aretha Franklin è un classico.

Non c’è e non c’è stato nessun ingrediente pop in Aretha, ma solo la combinazione antica (e aristocratica, perché semplicemente non tutti possono, lei sì) di talento e mestiere, o di genio e bravura, fate voi

È un classico precisamente perché non è pop. È semmai popolare, che è tutta un’altra storia. La pop culture è fatta di strilli (anche di giornale) sul cadavere della rappresentazione. È, vive, si muove, dentro al concetto hegeliano della morte dell’arte, trova significati in un’immmagine decomposta, come Wharol, come Hirst. Crea i suoi miti facendo a pezzettini i miti che ha ereditato.

Prescinde dalla conoscenza tecnico/artigianale, anzi, di base la prende in giro. E infatti si può diventare una perfetta cantante pop senza saper cantare, vedi il caso di Madonna che compiva 60 anni proprio mentre Aretha se ne andava. Ma appunto Aretha appartiene all’altra parrocchia. All’altra scuola, quella dell’arte, dell’artigianato. La vecchia scuola di predicatori e saltimbanchi negri, quella che ci ha dato Ray Charles e Charlie Parker, e perfino personaggi come Jimi Hendrix e Michael Jackson, che potevano sì tirare fuori opere pop grandiose come la devastazione di Star Spangled banner (Hendrix) e Thriller (Jackson), ma sempre quello restavano: artigiani devoti al mestiere, saltimbanchi dal talento potente e dall’antica disciplina.

Stessa cosa per Aretha. Figlia di un predicatore e cresciuta alla scuola del Gospel, trasposizione afroamericana degli inni battisti e dei versetti biblici. Praticante di rythm ‘n blues, calcatrice di palchi scassati, fumatrice, bevitrice, inguaiata, incapace di acconciarsi. Se è diventata anche lei icona (le tettone, i lustrini) è solo merito del fatto che è stata una cantante musicalmente ineguagliabile. E ineguagliata. Estensione vocale fuori norma, enorme simpatia del timbro. Impareggiabile “wit” nell’interpretazione: era in grado di infilarsi in un sedicesimo in levare laddove altri (tutte e tutti, a dir la verità) stavano ancora pensando a come mettere giù la frase.

A testimonianza non serve altro che questo video, in cui la Franklin signoreggia (leggi: distrugge, asfalta, umilia ecc ecc) su Celine Dion, Gloria Estefan, ShaniaTwain, M.Carey e Carole King. Guida, improvvisa, si infila tra le frasi delle altre senza mai dare fastidio, anzi impreziosendo.

E questa non è intelligenza critica, non è glamour, non è immagine, non è capacità di anticipare i tempi, non è furbizia rappresentativa. Non c’è e non c’è stato nessun ingrediente pop in Aretha, ma solo la combinazione antica (e aristocratica, perché semplicemente non tutti possono, lei sì) di talento e mestiere, o di genio e bravura, fate voi. Già solo il suo nome è iconico, Aretha, ma lei quello è rimasta: una saltimbanca negra, e antipop. Ed è un classico per quello.