Lasciate stare il nome, andatevene voi: solo così salverete il Partito Democratico

Tra il disastro di Genova e l'arrivo dell'autunno il Pd ha deciso di aprire l'inutile discussione sul nome. Ma la spolveratina al logo rischia di tramutarsi in un mero tentativo di travestimento, soprattutto se nessuno (come pare) vorrà mettersi in gioco davvero

Quando c’è da discutere di qualcosa di inutile se non addirittura potenzialmente dannoso in termini di consenso alcuni del Partito Democratico si buttano a capofitto presi da un’irrefrenabile predisposizione all’autodistruzione e così ora dalle parti del Nazareno in mezzo al lutto di Genova, con la ferocia che gocciola intorno alla Guardia Costiera, con il rientro delle ferie che riproporrà inevitabilmente il tema del lavoro e con gli smottamenti finanziari preannunciati nei prossimi mesi ha deciso bene di aprire questa gustosissima discussione sul cambio del nome (Movimento Democratico Europeo sarebbe l’illuminante idea di queste ore) in vista delle prossime europee. La vicenda di per sé avrebbe anche tutti gli ingredienti dello spasso con cui si spiano le risse in cortile se non fosse che i sondaggi indichino che il consenso sia già oltre ai minimi termini che si avrebbero potuto immaginare. E i sondaggi difficilmente sono opera di misteriosi troll russi, ahimè.

Eppure la scelta del cambio nome, soprattutto rilanciata in un caldo giorno di fine agosto, contiene già una serie di criticità che forse sarebbe il caso di affrontare prima di innescare la gazzarra.

Il rischio di camuffamento, innanzitutto. Il sentimento popolare nel confronto del Partito Democratico (ma basterebbero anche i risultati delle ultime elezioni, per dire) dicono chiaramente che il PD oggi è vissuto come amico dei potenti e sempre intento più alla propria autopreservazione (oltre a quella della propria rete di potere) più che ai reali bisogni dei cittadini. Attenzione, non conta ora che questa diffidenza sia cresciuta a torto o a ragione. Conta invece che ogni gesto che possa confermare la diffidenza verso una classe dirigente impegnata a sopravvivere risulterebbe dannoso: la spolveratina al nome e al logo rischia di essere l’ennesimo tentativo di autoassoluzione e travestimento.

Ora dalle parti del Nazareno in mezzo al lutto di Genova, con la ferocia che gocciola intorno alla Guardia Costiera, con il rientro delle ferie che riproporrà inevitabilmente il tema del lavoro e con gli smottamenti finanziari preannunciati nei prossimi mesi ha deciso bene di aprire questa gustosissima discussione sul cambio del nome (Movimento Democratico Europe sarebbe l’illuminante idea di queste ore) in vista delle prossime europee

Mettersi in discussione, piuttosto. Visto da fuori il vero problema non è il cambio d’abito del PD ma la netta sensazione che nessuno nel PD sia disposto a mettere in discussione le proprie azioni e anzi quei pochi che osano avanzare dei dubbi sull’operato degli ultimi governi vengono regolarmente azzannati e additati come traditori. Il problema non è il nome ma la “linea”: se la linea è quella di essere fieri di tutto ciò che si è fatto allora cambiare il nome è quasi una vigliaccheria.

Che diversità? Oggi in Italia ci sono due partiti fortissimi che hanno spostato l’asse a destra. Il PD dovrebbe chiarire un punto fondamentale: crede di poter fare meglio di questi più o meno le stesse cose o ha nel cassetto politiche veramente diverse? Nel caso, ha intenzione di spiegarle? Oltre a sottolineare (giustamente) gli errori del governo ha intenzione di dirci come affronterebbe le situazioni che si pongono? Riesce a farlo senza recriminare sul passato ma volgendo lo sguardo al futuro?

Il feticcio della serietà. La serietà è bellissima, per carità, ma non basta (e tra l’altro andrebbe praticata severamente). Anche il PD ha cialtroni tra le sue fila (come tutti) e il fatto che siano percentualmente meno di quelli degli altri non basta per prendere voti. Sventolare una certa superiorità morale e intellettuale in un momento di scollamento con gli elettori non è un’idea grandiosa, no. E nemmeno additare gli elettori come una massa di imbecilli. Proprio no.

L’anima, piuttosto del nome. Se cambiare nome significa sperare di sommare gli ex PC (PDS, DS poi PD) e gli ex margheritini si sappia che cambiando nome agli elementi il risultato chimico sarà sempre lo stesso: due anime che galleggiano una sull’altra.

E quindi? C’è una soluzione. Una sola. Quella che in Spagna pronunciano QUE SE NE VAYAN TODOS: ovvero finirla di professare rinnovamento cambiando d’abito (e nome, appunto) mantenendo le stesse modalità o le stesse persone invece di cambiarle davvero. Un amministratore delegato che dimezza in così poco tempo il fatturato dell’azienda che guida non decide di cambiare il marchio. Va a casa. Semplice semplice.

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