«Presto toccherà di nuovo a noi». Così, qualche giorno fa, Matteo Renzi parlava di un possibile ritorno al governo, prima del previsto, dato che, dice lui, il governo giallo-verde verrà spazzato via dai dissidi interni e dai guai giudiziari. Un avviso ai naviganti che in molti, però, hanno colto anche come un avvertimento a livello interno, un modo per dire ai tanti che stanno pensando di scalare i vertici del Pd che noi non ci scansiamo. Ribadendo, di fatto, quanto dichiarato nella famosa cena all’Aventino di cui abbiamo dato ampiamente conto e che possiamo riassumere così: «Non andiamo da nessuna parte, senza di noi il Pd muore, siamo e rimaniamo la maggioranza di questo partito, se vogliamo il congresso lo vinciamo ancora».
Ora, a chi si riferisce Renzi quando parla di noi? Il messaggio è preciso, quasi tribale, e segna la definitiva evoluzione della parabola del renzismo. Da suggestione nuova, trasversale alla politica italiana, da cui qualche anno fa tutti i partiti, volenti o nolenti, traevano ispirazione, a corrente di partito, una ridotta di fedelissimi che provano in tutti i modi a restare attaccati a quella fetta di potere che l’ex premier continua a rappresentare.
«Il noi di Matteo – ci spiega un ex parlamentare dem, una volta nel giro ristretto dei renziani – è sempre stato un concetto molto chiaro. Quel noi rappresenta se stesso e poco più. È un modo per dire che la sua tribù è pronta a ricaricarsi il peso del partito sulle spalle. D’altronde, a ben vedere, non si sono mai veramente fatti da parte». Ed ecco, quindi, il nocciolo duro del messaggio: noi ci siamo e faremo di tutto per non perdere le redini del Pd. Tradotto: ci impegneremo in prima persona. A questo punto, vista l’indisponibilità di Graziano Delrio e la mancanza di appeal degli altri pretendenti, Renzi sta seriamente pensando di ripresentarsi al congresso per essere rieletto segretario, legittimato dal voto delle primarie.
L’ultima carta che vuole saggiare è quella legata al nome di Maria Elena Boschi. Proprio lei, la donna simbolo del renzismo, passata in una breve stagione politica da modello vittorioso a capro espiatorio di tutte le sconfitte del Pd, potrebbe giocarsi la partita finale. “Mai dire mai”, ha risposto l’ex ministra al Corriere della Sera quando l’intervistatrice le chiedeva se fosse possibile pensare ad una donna segretario del Pd. E il rinnovato attivismo sui social – anche quelli ufficiali del partito, controllati ancora dai colonnelli renziani – è la dimostrazione che lei ci crede e l’esperimento è in atto.
I rischi, però, sono altissimi. Intanto, suo malgrado, la Boschi viene identificata – soprattutto fuori dal Pd – con la questione banche, che, abilmente gonfiata da Lega e Cinque Stelle, è stata forse il vero tallone d’Achille dei governi Renzi e Gentiloni. E nel partito è forse un elemento ancora più divisivo dello stesso Renzi. Tra l’altro, in caso di sconfitta, per lei e per la sua area politica il futuro sarebbe segnato.
La voce sta girando in maniera sempre più convinta negli ambienti che contano. I pasdaran dell’ex sindaco di Firenze sono già in brodo di giuggiole e mantengono a fatica l’entusiasmo. L’idea di Renzi sarebbe quella di far slittare il congresso a dopo le elezioni europee della prossima primavera, così da cavalcare un eventuale (ulteriore) tracollo del Pd
È per questo che, trattandosi davvero della sfida finale dalla quale dipenderà il destino politico del renzismo, prende sempre più piede l’ipotesi che sarà lo stesso ex segretario a giocarsela in prima persona. La voce sta girando in maniera sempre più convinta negli ambienti che contano. I pasdaran dell’ex sindaco di Firenze sono già in brodo di giuggiole e mantengono a fatica l’entusiasmo. L’idea di Renzi sarebbe quella di far slittare il congresso a dopo le elezioni europee della prossima primavera, così da cavalcare un eventuale (ulteriore) tracollo del Pd.
Difficile, però, che l’ipotesi prenda corpo, anche se da questo punto di vista la sponda (per motivi opposti) potrebbe essere rappresentata paradossalmente da Maurizio Martina, con il quale i rapporti sono ai minimi storici. L’attuale segretario, infatti, non nasconde l’ambizione di ricandidarsi ma anche lui avrebbe bisogno di più tempo. Tempo che invece non è disposto a concedere l’unico vero candidato “ufficiale” sceso in campo, Nicola Zingaretti.
Il presidente della Regione Lazio – che sta lavorando alla creazione di una rete molto fitta sul territorio, fatta di amministratori locali, associazionismo, realtà civiche – è attualmente il favorito, forte anche dell’appoggio interno di alcuni calibri come Gentiloni e Veltroni, e non è assolutamente disposto a perdere altro tempo. Ma ha già detto ai suoi di prepararsi, «perché la sfida sarà con Matteo». La sensazione, infatti, è che, rinvio o non rinvio, Renzi sarà della partita. Decisiva, in questo senso, sarà la tre giorni fiorentina della Leopolda (dal 19 al 21 ottobre), che potrebbe rappresentare, ancora, la rampa di lancio per le ambizioni dell’ex rottamatore.