Altro che “Considera l’aragosta”, chissenefrega dell’aragosta, il toro bisogna considerare. Ultimo esempio: qualche giorno fa, a Chiva, dalle parti di Valencia, durante la festa del toro, un esemplare di ragguardevoli dimensioni si è liberato dalla corda, ha travolto un po’ di turisti e ha incornato l’ultimo, che è volato per aria.
Grande successo del video. Immediato sentimento di gioia. L’uso del toro a fini rituali/ricreativi, dalla tradizione della corrida in poi, è considerato una barbarie da tutti meno che da quelli che Hemingway in Fiesta chiamava gli “aficionados”. E a chi scrive piacerebbe tanto essere un aficionado, ma non lo è. E la maggior parte del pubblico che non vive in Spagna, Portogallo, e in paesi sudamericani non lo è. Siamo culturalmente portati a considerare non tanto l’aragosta, quanto il toro.
E a mettere i like al video in cui il toro incorna il matador, qualsiasi siano le conseguenze per il matador, anche ci restasse secco. Ben gli sta al matador. Se l’è cercata il matador. Il dramma umano del matador, anche quelli tristi, che non hanno mai avuto fama, devono mantenere famiglia, e vanno alla corrida rischiando la pelle rassegnati (anche quelli li racconta Hemingway) non ci interessa. Di base devono schiattare, pure quelli. Poco riguardo anche per il pubblico di San Firmino a Pamplona e tutto il pubblico delle centinaia di fiestas de los toros di tutto il mondo ispanico.
Qui bisogna menzionare come merita Raton, il cosiddetto “toro assassino” o “toro sanguinario”, che dopo aver ucciso tre persone e avendone ferite una trentina nel corso di vari combattimenti si è spento serenamente, di vecchiaia, (immaginiamo coi conforti religiosi) nel 2013. Era noto per lo stile impeccabile dei suoi massacri.
Bene, la corrida e le feste dei tori ci permettono di sperimentare il paradosso più feroce -quello della distanza tra uomo e animale, della nostra presunta superiorità che il filosofo Plotino considerava inesistente, sostenendo che gli animali sono “capaci di contemplazione”- nel modo più potente, quasi intollerabile.
Ci mettono davanti, magneticamente, alla logica (e alla rappresentazione) del sacrificio rituale. Ci fanno pensare se è bello e lecito tenere per il toro assassino, o non provare un grammo di compassione per un umano sanguinante. O provare compassione per entrambi e detestare la cultura che ha fatto nascere il gioco di sangue. E, in fondo, quale cultura non mette in scena questa gara perfetta per la sopravvivenza Pensate che quello che succede in un’azienda (vedi Fantozzi) sia poi del tutto diverso? Darwinismo per darwinismo, questo è un darwinismo esposto, ritualizzato, epifanico. Che svela tutti gli altri.
E Raton, e il toro di Chiva di cui abbiamo parlato all’inizio, vendicano tutti quelli della loro specie: gli agnellini chiusi al buio e rimpinzati che impazziscono dopo alcune settimane, per diventare bistecche insipide. Le frisone chiuse a fare latte fino alla morte e poi trasformate in carne in scatola. La barbarie vera, totale, tecnica e nazista, degli allevamenti intensivi. Ecco, se chi scrive fosse un militante animalista 1) Si farebbe subito un santino di Raton 2) Cercherebbe di convincere sempre più persone a guardare la corrida.