Taranto, la città da visitare dell’estate 2018 (nonostante l’Ilva)

In una terra conosciuta soltanto per l’acciaieria che ospita da cinquant’anni, le bellezze che Taranto nasconde, tra resti archeologici e un centro storico incantevole, sono a maggior ragione preziose. Ecco che cosa c’è da vedere e perché non dovreste perdervela

«Taranto? Ma c’è solo l’Ilva e l’inquinamento, che ci vai a fare?». Nell’immaginario collettivo, Taranto è da sempre sinonimo di siderurgia, polveri sottili e tumori. Una città che, è legittimo domandarselo, chissà se potrà mai tornare alla normalità. Lo spettro industriale di un’acciaieria che avrà pure dato (14mila posti di lavoro e un fatturato da 2,2 miliardi nel 2016) ma soprattutto preso (30% in più di tumori infantili e 22mila nuovi casi di tumore tra il 2006 e il 2012) è proprio in questi giorni salito di nuovo agli onori della cronaca, e intorno alla data di ferragosto si dovrebbe – forse – arrivare ad una svolta per quanto riguarda possibili irregolarità nella procedura che l’ha assegnata ad ArcelorMittal. L’ennesimo rinvio in una vicenda che si protrae ormai dal 2012.

Quel che l’immaginario collettivo però probabilmente non sa è che Taranto è di una bellezza struggente. Diciamo subito una cosa: chi scrive a Taranto ci è capitata per caso, in un mercoledì di inizio agosto torrido e deserto, e si è fermata non più di 48 ore. Un’occasione per vedere solo una minima parte di quella che è la vita della città nel quotidiano. Ma ripensando all’invito a visitare Taranto («troverà gente di buona volontà, desiderosa di futuro» hanno detto) che il sindaco Rinaldo Melucci, insieme ai colleghi di Massafra, Statte e Montemesola, il presidente della Provincia Martino Tamburrano e il presidente di Confindustria Taranto Vincenzo Cesareo hanno rivolto al ministro e vice premier Di Maio, sembrerebbe che non si possa che confermare questa esortazione, a lui e a chiunque altro.

A Taranto la sottoscritta è arrivata verso mezzogiorno, in giro non un’anima. Troppo il caldo, che porta, come d’abitudine al Sud, a tenere le serrande dei negozi abbassate fino a pomeriggio inoltrato. Sarà l’orario, eppure il silenzio delle strade è stato subito un invito ad aprire meglio gli occhi e a osservare. Le case bianche e arancioni si alternano agli edifici littori, il palazzo della Provincia e quello delle Poste, la bella fontana dedicata alla rosa dei venti. Un’eleganza sobria, ma fiera. La gente, quando la incontri, ti dà del voi.

La città è divisa in tre: su un isolotto al centro, tra le due lagune del Mare Piccolo da un lato e il Mare Grande dall’altro, c’è la città vecchia. È questo il vero cuore di Taranto, un borgo che alle spalle ha quasi tremila anni di storia. Fondato nel 706 a.C. dallo spartano Falanto (anche se il nome lo deve a Taras, personaggio mitologico figlio di Poseidone e della ninfa Satyria), sarebbe stato destinato a diventare uno dei centri più importanti e ricchi della Magna Grecia. Dopo i greci, da Taranto passarono, distruggendo e ricostruendo a piacimento, Romani, Normanni, Longobardi, Saraceni e Spagnoli. Civiltà i cui lasciti sono numerosamente visibili non solo per strada (le colonne doriche in via Duomo, rovine dell’antico tempio di Poseidone, sono uno dei simboli della città) ma anche all’interno del Museo Nazionale Archeologico di Taranto (MArTA), che espone una delle più grandi collezioni di manufatti ellenici.

E l’acqua? Pulitissima: per fare il bagno basta fare qualche chilometro e raggiungere la zona di San Vito, dove un bel pezzo di spiaggia libera, con ristorantini sul mare e bar dove bere qualcosa guardando un tramonto mozzafiato coronano la visita. Al Mare Piccolo, invece, si va per vedere i citri (dal greco chytros, pentola), sorgenti di acqua dolce sotto il livello del mare, così chiamati perché la pressione che porta l’acqua dolce in superficie ricorda il bollore dell’acqua messa a scaldare sul fuoco

Il pezzo forte del centro città, però, rimane il Castello Aragonese, grande costruzione di epoca rinascimentale in carparo, una pietra bianca e rosa, che al suo interno raccoglie i segni visibili di tutte le civiltà che di lì sono passate. Da quando la Marina Militare (che ne ha preso possesso nel 1887) ha iniziato l’opera di restauro una decina d’anni fa, gli scavi hanno portato alla luce innumerevoli strati di mura, greche, bizantine, svevo-angioine e aragonesi, che come in un’immensa matrioska continuano a regalare reperti man mano che si fruga più in basso. Perché il restauro non è ancora finito, ed è probabile che ci siano molte altre scoperte da fare.

Le visite, gratuite e guidate dai cadetti della Marina Militare tutti i giorni dell’anno fino a notte fonda, sono una bellissima esperienza, arricchita di aneddoti e curiosità. Una a caso? Del castello si parla ne Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas: se nell’opera il protagonista Edmond Dantès viene tenuto prigioniero nel castello d’If, nel Golfo di Marsiglia, in realtà le vicende di cui lo scrittore parla sono proprio quelle accadute a suo padre, il generale napoleonico Thomas Alexandre Dumas, primo condottiero di colore della storia. Il quale, al rientro dalla Campagna d’Egitto, si ritrovò ostaggio del re di Napoli proprio nel castello di Taranto.

Accanto alla fortezza, poi, si trova un ponte girevole unico al mondo: collegamento fondamentale tra l’isolotto della città vecchia e il resto di Taranto, la sua particolarità è quella di aprirsi in ben tre modi diversi e soprattutto di farlo in orizzontale invece che in verticale. Ormai è raro trovarlo aperto, dato che le grosse navi non attraversano quasi più il canale tra il Mare Piccolo e il resto del golfo. Ma all’interno del castello la miniatura realizzata da un artigiano locale consente di vederlo in movimento, ed è un vero spettacolo.

Da non mancare una passeggiata a naso all’insù tra i vicoli della città vecchia, dove, tra le altre cose, si trovano la cattedrale di San Cataldo (la più antica della Puglia) e il Museo Ipogeo Spartano di Taranto, una cava profonda oltre 14 metri sotto il livello della strada. Se per i greci aveva costituito il ritrovo delle muse e delle arti più alte (scrittura, poesia, filosofia), i romani l’avrebbero invece intesa subito come una perfetta zona termale (id est, la usavano per lavarcisi i piedi).

Sul lungomare, invece, aspettatevi delle sorprese artistiche: prima il monumento al marinaio, una scultura stilizzata dedicata alla marina militare che saluta le navi che si accingono ad entrare nel Mare Piccolo. Poco più in là, visibili dalla rotonda davanti al palazzo della Provincia, invece, due figure di donna sugli scogli, una seduta che si sistema i capelli, l’altra sdraiata a prendere il sole.

E l’acqua? Pulitissima: per fare il bagno basta fare qualche chilometro e raggiungere la zona di San Vito, dove un bel pezzo di spiaggia libera, con ristorantini sul mare e bar dove bere qualcosa guardando un tramonto mozzafiato coronano la visita. Al Mare Piccolo, invece, si va per vedere i citri (dal greco chytros, pentola), sorgenti di acqua dolce sotto il livello del mare, così chiamati perché la pressione che porta l’acqua dolce in superficie ricorda il bollore dell’acqua messa a scaldare sul fuoco. Sono i citri il segreto delle famose cozze di Taranto, note per essere le più buone in circolazione: la commistione della gran quantità d’acqua dolce riversata continuamente in mare, oltre a svolgere un importante ruolo di termoregolazione, riduce il tasso di salinità delle acque marine circostanti, rendendo i frutti di mare morbidi e sapidi al punto giusto. La sera, i vicoli e il bianco delle case del borgo antico – molte delle quali in rovina, ma forse anche per questo di ancora più grande fascino – attirano per la musica dei bar e dei nuovi locali che hanno iniziato a fioccare.

Ma l’immaginario collettivo continua a rimanere perlopiù ignaro di tanta bellezza, e Taranto resta fanalino di coda nel turismo pugliese – che pure è in crescita, con 15 milioni di presenze nel 2017. Per il capoluogo ionico sono solo 230mila, ben lontane dalle 860mila di Ugento e poi di Otranto, Bari, Lecce e Gallipoli, solo per citare alcune delle destinazioni più gettonate.

In attesa dell’effettiva messa in atto del contratto istituzionale di sviluppo per Taranto, per il quale il precedente governo aveva previsto un miliardo di euro di finanziamenti con il decreto salva-Ilva, il territorio e soprattutto la città vecchia stanno però provando a risollevarsi da sé. Un evento su tutti, Isola Festival, la manifestazione che per tutto il mese di agosto porta in strada concerti, performance teatrali e di danza, dj set e visite guidate. Intanto, il 25 luglio è stato presentato il nuovo piano strategico per Taranto, prima ricognizione e mappatura georeferenziata dei progetti e dei programmi per la città. Il programma è coordinato dall’Asset, l’Agenzia regionale Strategica per lo Sviluppo Ecosostenibile del Territorio, e sotto un unico ombrello riunisce infrastrutture di trasporto, porto, aeroporto, bonifiche, iniziative culturali e turistiche, formazione, territorio, centro storico, economia del mare e governance come tasselli di un progetto che, finalmente, potrebbe contribuire a restituire dignità ad una terra tanto ricca quanto trascurata.

Forse mai quanto oggi Taranto dimostra di volere e di avere bisogno di perseguire obiettivi di crescita che siano svincolati dalla grande industria. Al di là di come andrà a finire la vicenda Ilva, andate a farle una visita: farete bene sia a lei che a voi.

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