IntervistaAnna Soru: “La flat tax sugli autonomi? Incentiva le false partite Iva”

“È una misura in contrasto con gli obiettivi del decreto dignità”, dice Anna Soru, presidente di Acta. “Non è rivolta ai giovani, ma ai redditi relativamente alti. Servirebbe invece alzare la no tax area per gli autonomi, aiutando così i redditi più bassi”

Dopo “quota 100” sulle pensioni, è la volta di “quota 100mila” per le partite Iva. E ancora una volta i più giovani potrebbero non avere alcun beneficio, anzi. Nel cantiere sempre aperto della legge di stabilità, il governo gialloverde sta lavorando a una flat tax, tassa piatta, per i lavoratori autonomi con fatturati fino a 100mila euro: la proposta è di applicare un’aliquota del 15% per le partite Iva fino a 65mila euro (circa 2 milioni) e del 20% da 65 a 100mila euro. «Il lavoro autonomo così diventerebbe molto più conveniente di quello dipendente, incentivando le false partite Iva e andando di fatto in direzione opposta rispetto agli obiettivi del decreto dignità», dice Anna Soru, presidente di Acta. «La domanda da farsi è se c’è un modo migliore per usare queste risorse, e se è opportuno un provvedimento del genere oppure no».

E qual è la risposta?
La risposta è no. Non è un provvedimento che mira a una maggiore equità tra lavoratori autonomi e dipendenti, o a una maggiore inclusione dei redditi più bassi. Non incentiva gli investimenti, né la crescita. Né è rivolto ai più giovani.

Quali effetti avrà sui più giovani?
I giovani sono meno i meno toccati da questa misura. Di fatto è un’estensione del regime forfettario, che già esiste per i professionisti freelance fino a 30mila euro. I giovani stanno quasi tutti sotto questa soglia, quindi non li riguarda. Anzi, per dirla tutta, la maggior parte non arriva neanche ai 15mila euro l’anno. Non è una misura per i redditi più bassi. Avvantaggia solo i redditi relativamente elevati.

Perché non incentiva gli investimenti?
Si prosegue sulla scia della forfettizzazione delle spese. Per cui si premia chi non ha spese, tra cui i “finti autonomi” che usano strumenti e sede lavorativa del committente. E vista l’assenza di vantaggi fiscali, si scoraggiano anche i lavoratori a spendere di più in innovazione e formazione, bloccando gli investimenti. Senza dimenticare, come abbiamo avuto modo di appurare in questi anni, che i regimi di vantaggio fiscale portano i lavoratori ad applicare prezzi bassi, con una caduta generale dei compensi. Inoltre, la flat tax non si applica alle società, ma alle persone singole, non favorendo le attività più strutturate e avallando la frammentazione che già esiste tra gli autonomi.

Le partite Iva hanno una no tax area fino a 4.800 euro, mentre dipendenti e pensionati arrivano fino a 8mila. Parificare la no tax area potrebbe essere una misura di equità, generando grossi vantaggi per i redditi più bassi

Può essere uno strumento anti-evasione?
Tutt’altro. Pagando il 15% su una parte del fatturato, ci si mette al riparo dagli strumenti antievasione come lo spesometro. Mentre la fortettizzazione dei costi non incentiva a chiedere fattura, portando avanti lo stereotipo dell’autonomo come evasore.

Avere una partita Iva però costerà di meno.
E questo è in contrasto con gli obiettivi del decreto dignità. Abbiamo visto come il regime forfettario già creava un incentivo al falso lavoro autonomo. Con la flat tax il lavoro autonomo diventa ancora più conveniente rispetto a quello dipendente, incentivando le false partite Iva. Il datore di lavoro potrebbe avere una pressione maggiore a farlo, ma dall’altra parte ci potrebbe anche essere un accordo per distribuire i benefici tra datore di lavoro e lavoratore che si accorge che con questa tassazione il netto che gli entra in tasca è maggiore di quello di un contratto subordinato.

Cosa si dovrebbe fare allora per aiutare i giovani con la partita Iva?
Il sistema di tassazione degli autonomi resta scorretto e iniquo. Serve ridurre le differenze tra lavoratori dipendenti e autonomi. Le partite Iva hanno una no tax area fino a 4.800 euro, mentre dipendenti e pensionati arrivano fino a 8mila. Parificare la no tax area potrebbe essere una misura di equità, generando grossi vantaggi per i redditi più bassi. E quindi per i più giovani e per le donne.

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