Canne, marchette e niente opposizione: questa ormai è la musica italiana

Mentre negli Stati Uniti la controcultura alza la voce, noi abbiamo Gue Pequeno, Fedez e i cantautori indie depressi. La musica tace, quando oggi più che mai dovrebbe raccontare la realtà

Credo in fondo sia tutta una questione di credibilità.

O meglio, voglio credere che in fondo sia tutta una questione di credibilità. Anche se un po’, ma giusto un po’, sospetto sia quel malsano mix di disinteresse e opportunismo che tiene quasi sempre gli artisti dentro quel recinto di ignavia e sicurezza, almeno gli artisti italiani.

Perché, diciamocelo, se avete dato un’occhiata alle facce che hanno popolato sia Power Hits Estate, dall’Arena di Verona, sia il Wind Summer Festival, dall’ex area Expo di Milano, i due programmi fotocopia che intendevano premiare i tormentoni dell’estate e che in qualche modo hanno raccolto la meglio gioventù della musica italiana, beh, l’idea che qualcuno di loro potesse anche sotto droga diventare la colonna sonora di una futura rivoluzione non può esservi passata di mente. Perché è di questo che si sta parlando, di chi in Italia dovrebbe, perché qualcuno dovrebbe, sia messo agli atti, diventare la colonna sonora di una rivoluzione, magari non solo culturale, quantomai necessaria. O meglio, si sta parlando, certificando addirittura, la totale assenza di questa figura.

Guardiamo oltre oceano, senza neanche bisogno di andare troppo in profondità. Donald Trump si candida alle elezioni, e lo star system gli si coalizza contro. Uno dirà, beh, vista come è andata a finire era meglio non lo facesse. Vero, ma più che normale che, al di fuori degli esiti, chi per arte ha deciso di raccontare la quotidianità, la contemporaneità, scendesse in campo, nello specifico in strada. Pensiamo ai Prophets of Rage, per dire. Praticamente tutti i Rage Against the Machine a eccezion fatta di Zack De La Rocha, più Chuck D e Dj Lord dei Public Enemy e B Real dei Cypress Hill, come dire, una super super band che affonda le sue radici nell’hip-hop e nel crossover di protesta.

Sono saliti su un camion e hanno iniziato a fare quella che un tempo si chiamava controcultura, andando a fare da contrappunto alle convention cui partecipava il tycoon americano, poi eletto presidente, andando a improvvisare, suppergiù, concerti in strada negli stessi luoghi dove avrebbe parlato. Nel mentre, il mercato è mercato, hanno sfornato prima un paio di singoli e poi un album, trasformando una vicenda situazionista e politica in una vicenda mainstream e politica.
Ora, facendo la tara con gli esiti elettorali, direi che niente di più consono dei Prophets of Rage ci si doveva aspettare. L’arte ha come sua natura, a volte, quella di indicare il re nudo, seppur rimanendo a corte.
E questo è solo un esempio, l’ultimo album di Eminem, tirato fuori da un giorno all’altro, Kamikaze, è una fotografia degli USA dell’epoca Trump, senza troppi filtri.

Bene, e da noi?
Da noi tutto tace, in maniera agghiacciante.
Nessuno, tra quanti stanno sfornando singoli o album, sembra avere a cuore la realtà e la contemporaneità, se non si vuole intendere con questa uno strano asettico mondo dove i sentimenti, per altro raccontato con termini labili e poco incisivi, ha il sopravvento. Niente sociale, nei temi affrontati, niente politica. I cantautori indie, o itpop che dir si voglia, parlano solo di camerette e depressione, i trapper, se ben ho capito le quattro parole in croce bofonchiate con un orribile accento milanese, parlano di droghe e di droghe. A culo tutto il resto, per citare un Guccini oggi non solo inimmaginabile, ma forse addirittura alieno.

Ovatta. O meglio, sonniferi e calmanti gettati nelle tubature.
Però, torniamo da principio, forse non è tutta colpa loro. Se noi, dovendo pensare a un rapper che prenda di petto la società dobbiamo far ancora oggi riempito a Militan A, se siamo un minimo addentro alla scena, o Frankie Hi NRG MC, forse non è per una scelta, ma per una necessità dei vari rapper e trapper attuali. Con che cazzo di coraggio, per dire, uno come Gue Pequeno potrebbe mai permettersi di affrontare un argomento più complesso del trittico “bamba, soldi e figa”? O Fedez, troppo concentrato a fare marchette sui social. O uno a caso tra Sfera Ebbasta, Ghali o Capoplaza (il primo che mi dice che Ghali fa politica coi suoi testi si troverà I dannati della terra di Franz Fanon incisa con un chiodo sulla macchina, per mia mano).

Vogliamo se no parlare di Calcutta, di Tommy Paradiso, ma anche de Lo Stato Sociale, dai, seriamente. Forse un po’ Brunori, che però in questi mesi di deriva salviniana ha tragicamente taciuto, come tutti.
Giorni fa rivedevo Straight Outta Compton, il biopic che racconta le gesta degli N.W.A. e dei vari Ice Cube e Dr Dre. Beh, a vedere come all’epoca hanno preso posizione contro la polizia californiana, e non solo, siamo in piena epoca Rodney King, viene da mettersi a piangere. Perché se oggi c’è ancora qualcuno che prova a fare resistenza, si pensi al cinema che rivendica un ruolo civile sulla vicenda Cucchi, e una letteratura che è in qualche modo tornata a fare se stessa, si veda quanto stanno facendo i vari Genna, Murgia o Ballestra, la musica tace, e quando la musica tace, è ovvio, si sente anche troppo bene.

Ora, non so se è solo una questione di phisique du role, e in caso suggeriamo una bella maschera anche banalotto alla Guy Fawkes, ma mai come oggi si sente il bisogno di qualcuno che metta in scena il corrispettivo contemporaneo del Fuck the Police dei N.W.A., o un album come Amerikkka Most Wanted di Ice Cube. Ragazzini del cazzo, lasciate stare le canne e cominciate a raccontarci quel che succede intorno.

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