Come ogni tradizione, anche le ricette dei wagashi giapponesi – i dolci fatti con fagioli azuki, agar agar (una gelatina) e mochi – hanno rischiato di venire perdute e interrotte dalle convulsioni della storia. Per fortuna, dopo secoli in cui i segreti della cucina venivano tramandati di generazione in generazione, vennero creati ricettari definitivi. Avvenne nel periodo Edo, dal 1603 al 1868, e non stupisce: fu in quell’epoca che il Giappone venne tenuto isolato dal resto del mondo da parte della sua classe dirigente, che preferiva rimanere cristallizzata nelle proprie tradizioni storiche.
In un Paese in cui le sperimentazioni erano viste male, i libri di cucina fornivano un punto di riferimento fisso e sicuro. Le ricette dei wagashi raccoglievano tutte le varietà immaginate fino a quel momento, illustrando e conservando la ricchezza di colori, forme e motivi che caratterizzavano quei dolci.
Qui si possono vedere: ci sono wagashi che, seguendo il ritmo delle stagioni, ricordano germogli di bambù, o noci, o ciliegi in fiore. Altri che, ispirati a poesie e opere letterarie, portano nomi altisonanti ed evocativi: “Cime di montagne all’alba”, per esempio.
Un tesoro che ha attraversato un secolo e mezzo e che, in alcuni casi, continua a fornire idee e ispirazioni. A Tokyo (l’ex capitale Edo) il negozio di wagashi Fukushimaya si serve di un manuale del 1867, creato dal suo fondatore, per riprodurre le forme esatte dei dolci di una volta.