Niente da fare. I posti di lavoro della gig economy si rivelano ancora “lavoretti”. E non sono ancora in grado di sostituire quelli “veri”, a tempo pieno, nonostante gli addetti del settore siano in costante crescita. Lo dice uno studio di Jp Morgan Chase, secondo cui negli Stati Uniti i lavoratori delle piattaforme riescono a guadagnare in media solo 828 dollari al mese, meno di 10mila l’anno. Che significa sotto la soglia di povertà. Anzi, mentre la forza lavoro della gig economy cresceva, negli ultimi anni gli stipendi sono crollati a picco. A guardare le transazioni sui conti correnti, un autista di Uber e un rider oggi guadagnano meno della metà (-53%) di cinque anni fa.
Gli stipendi medi mensili degli operatori addetti al trasporto, di cose o persone, tramite le app sono calati in media dai 1.469 dollari al mese del 2013 ai 783 dollari al mese del 2018. Colpa, forse, dell’aumento continuo degli addetti del settore, dai rider ai driver, che potrebbe aver portato a una redistribuzione e all’assottigliamento dei guadagni.
JP Morgan ha analizzato i movimenti di 39 milioni di conti bancari in 23 Stati americani. Quello che è venuto fuori è che la percentuale dei correntisti che incassa somme di denaro da una piattaforma è passata dallo 0,3% del primo trimestre del 2013 all’1,6% dello stesso periodo del 2018. In totale, la quota della forza lavoro americana coinvolta nella gig economy è passata dal 2% a quasi il 5% negli ultimi cinque anni. Vuol dire che 5,5 milioni di americani hanno incassato qualche dollaro con la gig-economy. Negli States, si tratta della stessa percentuale di persone impiegate nella pubblica amministrazione.
Di questi, circa la metà (2,4%) ha lavorato per app come Uber, Deliveroo o Lyft. Spesso, però, in modo discontinuo e senza guadagnare un granché. Solo il 41,7% dei driver, ad esempio, ha incassato somme di denaro per quattro mesi su 12. E solo il 12,5% lo ha fatto in almeno dieci mesi.
Non c’è alcuna evidenza che la platform economy stia sostituendo le tradizionali forme di reddito. Queste tendenze suggeriscono che lavorare da freelance nei trasporti della gig-economy non è una prospettiva promettente per coloro che cercano di generare reddito sufficiente per abbandonare l’occupazione tradizionale
«C’è un partecipazione sporadica», spiegano gli autori del report, «anche nel settore dei trasporti, che è quello che cresce di più per numero di addetti. La maggioranza entra ed esce dal mercato». Ma anche chi riesce ad avere un’attività più continua oggi si ritrova stipendi peggiori di qualche anno fa. Gli autisti che hanno incassato guadagni per almeno dieci mesi all’anno percepivano 2.500 dollari al mese nel 2014. Oggi ne guadagnano la metà esatta, in linea con la soglia di povertà per una famiglia americana di due persone. «Non c’è alcuna evidenza che la platform economy stia sostituendo le tradizionali forme di reddito», si legge nel report. «Queste tendenze suggeriscono che lavorare da freelance nei trasporti della gig-economy non è una prospettiva promettente per coloro che cercano di generare reddito sufficiente per abbandonare l’occupazione tradizionale». La conclusione è che, «indipendentemente dal fatto che questi lavori possano o meno rappresentare in linea di principio il “futuro del lavoro”, è evidente che la maggior parte dei partecipanti allo studio non li sta usando come strumenti che potrebbero accompagnarli in quel futuro».
Ma se è nei settori del food delivery e dei trasporti che i guadagni sono più crollati a picco, qualche segno positivo si vede invece tra gli addetti delle piattaforme che forniscono servizi (+1,9%), vendite (+9,4%) e soprattutto quelle che permettono l’affitto temporaneo di case o auto. Gli iscritti ad Airbnb o Turo (app per il car sharing) hanno visto crescere i guadagni del 69% negli ultimi cinque anni. Ma prima bisogna comprare una casa. E con 783 dollari al mese, l’obiettivo è lontano.