Il duetto di Elisa e De Gregori? È come un incidente mortale in autostrada

Dopo il flop dell’ultimo disco di Elisa il manager Salzano vuole ridarle credibilità. Ed ecco che spunta il duetto con De Gregori. Peccato sia un brano brutto, banalotto, e con un testo sbilenco

Sarà capitato anche a voi. Siete lì che misurate la vostra virilità sfidando il Tutor, o come diavolo si chiama, in una Autostrada del Sole insolitamente deserta per essere un weekend di luglio. La domanda che vi ponete è se quello strano marchingegno sia davvero in grado di fare la media della vostra velocità tra un rilevatore e l’altro, e per quarto vi ostinate a superare i centotrenta facendo a zig zag tra le corsie vuote.

Quando state quasi per annoiarvi ecco che arriva la telefonata che non vorreste mai ricevere. Non siete scaramantici, anzi, quando a volte vi è stato chiesto in che altra epoca vi sarebbe piaciuto vivere avete risposto senza neanche star lì troppo a pensarci nell’Epoca dei Lumi, perché ritenete la razionalità fondamentale per orientarvi in quella giungla che è la vita, non siete scaramantici, ma conoscete bene la pericolosità della telefonata che sta arrivando, e la conoscete per una mera questione statistica.

Sì, perché ogni volta che siete in autostrada e il vostro viaggio procede senza intoppi e arriva quella telefonata, vagamente ansiogena, a chiedervi se c’è traffico, sbam, ecco che il traffico arriva. Infatti non fate neanche in tempo a rispondere che, puntualmente, vedete le luci intermittenti delle quattro frecce di auto che, sareste disposti a giurarlo sull’opera omnia di Galileo Galilei, fino a un secondo prima non c’erano. Così, di colpo, vi trovate imbottigliati in un ingorgo estivo, di quelli di cui, lo sapete già, si parlerà al telegiornale, mostrando immagine riprese dall’alto, oggi da un drone, ieri da un elicottero, di chilometri e chilometri di auto in fila, la gente scesa a sgranchirsi le gambe, quasi soffocate dal caldo che sale dall’asfalto liquefatto dal sole.

Non c’è niente da fare, sintetizzo, se c’è qualcosa di brutto, di agghiacciante, non possiamo che fermarci a guardarlo, ben sapendo che è uno spettacolo atroce

A questo punto, vuoi per il sole, vuoi per le esalazioni delle auto ostinatamente lasciate accese, vuoi per quell’amore per i ragionamenti di cui si parlava prima, vi chiedete cosa generi questo tipo di ingorghi. Non siete mai stati la prima auto di una di queste file infinite, non sapete se e cosa accada. Avete letto da qualche parte che spesso, in caso di incidente in autostrada, a causare le code non sono tanto gli incidenti in se’, perché i tempi di ripristino sono ormai abbastanza veloci, quanto la morbosità degli automobilisti non coinvolti, che passando di fianco alle auto distrutte, magari anche alle ambulanze, invece di procedere spedite per liberare quel tappo, rallentano, guardando attentamente.

James Ballard ci ha fatto su delle pagine di letteratura immortali, in Crash, soffermandosi proprio su questo aspetto morboso. Non c’è niente da fare, sintetizzo, se c’è qualcosa di brutto, di agghiacciante, non possiamo che fermarci a guardarlo, ben sapendo che è uno spettacolo atroce.

Un po’ come, e lo dico consapevole di abbassare repentinamente il livello della discussione, perché in certi casi è bene sdrammatizzare, anche a costo di uscirne male, è un po’ come quando ci affrettiamo a infilare la testa sotto le coperte dopo aver scoreggiato a letto, consci che avremo una brutta sorpresa, ma incapaci di sottrarci a questa tentazione.

Ecco, tutto questo per dire che, nonostante da mesi io mi sia ripromesso di non occuparmi più del brutto, dedicando le mie forze, le mie energie, e anche la mia visibilità solo a cose belle, poi succede che passo di fronte a un incidente mortale e rallento, abbasso il finestrino e contribuisco col mio rallentare a creare un ingorgo da telegiornale.

Perché, lo giuro come uno di quei serial killer che lasciano scritto col sangue sul luogo del loro ultimo crimine efferato “vi prego fermatemi”, ho fatto davvero di tutto per evitare di ascoltare “Quelli che restano”, canzone che sancisce, parole non mie, la rinascita di Elisa in casa Universal, brano che anticipa il suo nuovo lavoro di studio, qui in compagnia di Francesco De Gregori, ma alla fine ho ceduto, ho infilato la testa sotto le coperte e ho annusato.

Nei fatti è solo una canzone molto brutta, con un testo che vorrebbe essere poetico, ma è solo sbilenco (scordatevi il fascino delle cicatrici di Ballard, e poi di Cronenberg, qui c’è solo un testo sbilenco) su una base banalotta, come una versione dylaniana di uno dei brani minori di De Gregori.

E l’ho fatto, non che voglia o abbia bisogno di giustificarmi, perché ho sentito commenti di colleghi che stimo, parlare di questa operazione come di un gesto dylanianamente fastidioso, intendendo con questo un gesto fatto appositamente male, sgradevole, per spiazzare chi si sa ci seguirebbe comunque, nonostante i dischi cristiani e i classici fatti in maniera irriconoscibile nei live, sempre che vengano fatti.

Come dire, so che mi adorate e anche per questo mi diverto a proporvi qualcosa che non può piacervi, perché oggettivamente brutto, come se dopo aver invitato Fedez a cantare, Dio mi perdoni (fanculo l’illuminismo), Viva l’Italia all’Arena di Verona, in occasione del quarantennale di Rimmel, si potesse dare altra prova d’amore.

Ora, intendiamoci, Quelli che restano non è un duetto con Fedez. E tanto per guardare anche alla titolare del brano, non è neanche Da sola/ In the night, canzone in cui la nostra ha duettato con Tommaso Paradiso su base di Takagi e Ketra, ma resta comunque una canzone di una bruttezza abbacinante. Forse anche peggio del brano che si rifaceva alla dance anni Ottanta, sempre che sia possibile misurare certi livelli di bruttezza con precisione millimetrica, perché con la pretesa di essere canzone d’autore.

Nei fatti è solo una canzone molto brutta, con un testo che vorrebbe essere poetico, ma è solo sbilenco (scordatevi il fascino delle cicatrici di Ballard, e poi di Cronenberg, qui c’è solo un testo sbilenco) su una base banalotta, come una versione dylaniana di uno dei brani minori di De Gregori. E se si capisce bene il motivo per cui Elisa, cavallo azzoppato da un album orrido come On lasciato dalla Caselli alla Universal, abbia voluto ricrearsi una qualche credibilità, sempre che sia possibile tornare credibili dopo anni di flirt con l’abisso, da Amici in poi, a voler fare i poetici sfugge il motivo che abbia spinto De Gregori a prestarsi a questa farsa.

Cioè, se possiamo ascrivere a una fortissima volontà di infastidire l’ascoltatore i suoi duetti con la moglie, forse anche le sue partecipazioni a certi programmi che sembrano nati proprio per far sì che artisti come De Gregori siano destinati al l’estinzione, la logica artistica dietro questa brutta canzone, come ci tengono a far sapere con “il primo testo non scritto da De Gregori che lui abbia interpretato in carriera”, rimane un mistero assai più fitto di quello degli ingorghi in autostrada o di come funzionino i Tutor.

Perché uno può chiedere prove d’amore al proprio pubblico, ci mancherebbe altro, è il proprio pubblico, ma esiste un limite a tutto e “Quelli che restano”, per uno che ha scritto la storia della musica italiana, che ha fatto album con un giovane Venditti, con Lucio Dalla e con Giovanna Marini, è forse un po’ troppo. Non uno sfottò dichiarato, come chiamare Fedez a cantante un proprio classico, o andare al tributo di Pino Daniele e fare con propria moglie non una canzone del cantautore partenopeo ma un classico, no, qui si fa una canzone che sembra una di quelle imitazioni d’annata di Checco Zalone, senza però avere intenti comici.

Unica speranza, labile, che questi corsi abbiano sempre una durata limitata, e che quindi questi gesti plateali, dai Sanremo gestiti in prima persona a De Gregori usato per, mi cito, ricostruire l’imene artistico di Elisa, hanno le ore contate.

In realtà, a voler tornare per un attimo illuministi, i motivi sono tutti molto molto chiari, De Gregori è vittima del suo promoter, Ferdinando Salzano di Friends and Partners, sempre lui, che dovendosi trovare a gestire la carriera azzoppata di una Elisa, ormai equiparabile a una Alessandra Amoroso qualsiasi, non ha saputo pensare a niente di meglio che metterla insieme a qualcuno la cui credibilità sembrava fino a oggi inossidabile.

Non è la prima volta che Salzano gioca con gli artisti della sua scuderia, a volte, è questo il caso, finendo per fare senatore un cavallo, come Caligola. Questo dimostra due cose, entrambi agghiaccianti, se si prova a guardare ai fatti spinti dall’amore per la musica: primo, oggi Salzano è il signore indiscusso dello show business italiano, la prima serata con Al centro e i due Sanremo baglioniani lo attestano.

Secondo, oggi a muovere le cose non sono più i discografici, ma un promoter. Cioè, se in passato a pensare e realizzare queste operazioni sarebbe stato un A&R, o forse addirittura un presidente di major, oggi è evidente che la discografia ha alzato le mani, distratta da quel fuoco di paglia che è lo streaming, e ha ceduto a Salzano la possibilità di fare e disfare, anche a rischio di devastare la credibilità di un De Gregori.

Unica speranza, labile, che questi corsi abbiano sempre una durata limitata, e che quindi questi gesti plateali, dai Sanremo gestiti in prima persona a De Gregori usato per, mi cito, ricostruire l’imene artistico di Elisa, hanno le ore contate.

Nel mentre, almeno ci provo, intendo continuare a non guardare più quelle lenzuola buttate sull’asfalto di fianco a auto accartocciate o, per essere più leggeri, a non ficcare più la testa sotto le coperte dopo aver scoreggiato. Le scorregge puzzano di scorregge, non abbiamo bisogno si annusarle per saperlo.

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