C’è una metrica interessante per valutare l’impatto di uno scrittore sui suoi tempi, una metrica che supera quelle dei critici accademici, ma anche a quella delle vendite in libreria: è la metrica delle riduzioni, ovvero delle volte in cui il materiale narrativo partorito dalla mente di una scrittrice o di uno scrittore si trasforma in qualcosa d’altro, saltando da un’arte all’altra, dalla letteratura al teatro, al cinema, alla musica, ai videogiochi, ultimamente anche alle serie televisive.
Ecco, se mettessimo in ordine il canone della letteratura occidentale seguendo la decrescenza di questa metrica e senza contare gli scrittori viventi, la classifica che ci troveremmo davanti avrebbe al primo posto indiscusso William Shakespeare, al secondo Agatha Christie e probabilmente al terzo Arthur Conan Doyle. Se invece consideriamo anche gli autori che sono ancora tra noi, be’, allora quel podio cambia, e in una o nell’altra delle postazioni basse — ché il Bardo è difficile da schiodare — ci leggeremmo un nome molto familiare, quello di Stephen King.
Oggi che il Re compie gli anni, non potendoci augurare che finalmente qualcuno tra i noiosi accademici svedesi si accorga di lui concedendogli il Nobel — gli scandali sessuali hanno tirato giù tutto anche laggiù — siamo costretti a passare di livello, lasciare stare la contemporaneità e passare direttamente ai posteri, quelli che, beati loro, si potranno godere l’universo narrativo di Stephen King finalmente senza avere paturnie sull’essere o meno dei colti lettori.
E quindi diciamolo, senza indugi: Stephen King sarà con ogni probabilità considerato il William Shakespeare della nostra epoca. Sì, il William Shakespeare, quell’autore-universo che è stato capace di fissare lo spirito dei suoi tempi scrivendo circa una quarantina di commedie, tragedie e drammi storici; quell’autore feticcio che tutti i professoroni e gli accademici si vantano di citare a memoria; quel genio che è riuscito ad attraversare tutti i generi senza restare ancorato a nessuno; quel formidabile raccontatore di storie che ha fornito materiale ai successivi cinque secoli di narratori.
King come Shakespeare. E se il paragone vi sembra una bestemmia rifletteteci un attimo: entrambi sono amati dal grande pubblico; entrambi racchiudono nei loro testi la più autentica e ricca descrizione dello spirito dei propri tempi; entrambi affollano la propria produzione di personaggi e storie, trame e sotto trame, raccontando un mondo complesso e vertiginoso. Entrambi, infine, si tolgono di mezzo e lasciano lo spazio al mondo che raccontano, un mondo la cui eco arriverà molto più lontano di quella di tutta la narrativa ombelicale che si contenta di misurarsi la lingua senza infettare il mondo che la circonda, senza avere nessun impatto sull’immaginario dei propri tempi.
Stephen King, come William Shakespeare, quell’impatto ce l’ha, e fortissimo. E nonostante nell’ultima, clownesca, classifica dei libri che entreranno nel canone del XXI stilata da Vulture di libri di King non ce ne sia nemmeno uno, le invenzioni di King, in realtà, nel canone ci entrano eccome tra i libri più importanti della nostra epoca, e ci entrano senza chiedere il permesso, come una scintillante Mercedes SL 500 su una fila di persone che aspettano ignare di entrare a una inutile fiera sperduta nel midwest.