Non è un segreto: o se lo è, può essere solo un segreto di Pulcinella, considerata la latitudine del tema. “’O Sole Mio”, il celebre brano della canzone napoletana – tanto famosa che fu intonata da Jurij Gagarin durante il primo viaggio nello spazio, o da Giovanni Paolo II, quando era ospite a Ischia – non parla del sole di Napoli. Bensì, di un pallido solicello russo.
È noto: la musica e parole vennero composte nel 1898 a Odessa (ora città dell’Ucraina), dove l’autore, Eduardo di Capua, era in tour con il padre violinista. Preso da nostalgia di casa, cullato dal calore struggente di un’alba sul Mar Nero (che, a quanto pare, non ha nulla da invidiare ai tramonti del Golfo), si ricordò del brano che gli aveva dato Giovanni Capurro, e decise di metterlo in musica. Seguì – dicono i pettegoli – anche l’ispirazione, tutta sublimata, per Anna Maria Vignati-Mazza, anche chiamata “Nina”, vincitrice del primo concorso di bellezza della storia di Napoli (tempi in cui ’o mitù non faceva vittime) e moglie di Giorgio Arcoleo, senatore del Regno.
Sarebbe lei, secondo alcuni interpreti, l’oggetto che sarà illuminato da quel sole più “bello”, più bello ancora di quello di Odessa (non Napoli), che pure splende ovunque, di fronte a tutti (oi né, è esclamazione per dire “ehi tu”), perfino tra i panni stesi, accompagando il canto delle lavandaie. Segno di quel sentimento immenso che, dal cuore dell’innamorato, va a posarsi sul volto dell’amata.