Il 7 settembre, alla Villa dei capolavori di Traversetolo, a pochi chilometri da Parma, viene inaugurata la mostra su “Roy Lichtenstein e la pop art americana”. Arriveranno i bus carichi di giornalisti e visitatori, ma ad accoglierli non ci saranno le dieci operatrici museali che da diversi anni danno il benvenuto tra le stanze della villa, sede della Fondazione Magnani-Rocca. La fondazione le ha lasciate a casa, dopo che le lavoratrici, tra i 30 e i 40 anni, tutte storiche dell’arte laureate con pluriennale esperienza nei beni culturali, hanno chiesto un adeguamento del loro contratto, che le inquadrava invece come uscieri e vigilanti. «Dopo la richiesta di messa in regola, hanno perso il loro posto di lavoro», racconta Francesca Benedetti, segretario generale della Fisasca Cisl di Parma e Piacenza. «Lo sfruttamento in Italia non esiste solo nei campi, ma anche nei musei. E per amara ironia questo episodio si verifica proprio a Parma, eletta da poco capitale italiana della cultura 2020».
Alcune delle operatrici del museo avevano cominciato a lavorare per la Fondazione Magnani-Rocca sin dal 2010. All’inizio il lavoro era retribuito con lettere d’incarico. Poi dal 2013 vennero proposti due contratti stagionali l’anno (part time), in modo da coprire le mostre temporanee della fondazione, reiterabili senza limiti, con diritto di prelazione tra una esposizione e l’altra. «Contratti che nel caso di assenza fanno perdere però la precedenza per future assunzioni», spiega Benedetti. «Cosa che ha impedito a queste ragazze di pensare anche a possibili gravidanze». Stipendio: 529 euro lordi, pari a 6,20 euro lordi l’ora. Più le visite guidate pagate extra come ore di guardiania ordinarie.
Il contratto sottoscritto era quello dell’ultimo dei livelli del contratto nazionale della vigilanza privata, come se fossero uscieri o fattorini. Nonostante le ragazze avessero tutte una laurea nel campo dei beni culturali, con percorsi di specializzazione alle spalle. E svolgessero per la fondazione compiti ben diversi dalla guardiania: visite guidate in italiano e lingue straniere per le mostre, traduzione di testi e la scrittura dei cataloghi, collaborazione agli allestimenti, conferenze in Italia e all’estero. Qualcuna di loro era stata inviata persino in Giappone a rappresentare la fondazione. Un po’ troppo lontana per fare l’usciere.
Il contratto sottoscritto era quello della vigilanza privata, come se fossero uscieri o fattorini. Nonostante le ragazze avessero tutte una laurea nel campo dei beni culturali, e svolgessero visite guidate e persino presentazioni all’estero per conto della fondazione
Tant’è che nel 2017 le ragazze cominciano a chiedere l’adeguamento del contratto alle attività svolte. E davanti a numerosi rifiuti, si rivolgono al sindacato. «Ci sono stati due incontri, nei quali abbiamo chiesto l’applicazione del contratto per gli operatori turistici, anche con aumenti graduali degli stipendi, ma ci hanno chiuso le porte in faccia», racconta Francesca Benedetti. Con l’effetto, scrivono le lavoratrici in una lettera indirizzata al cda della Fondazione Magnani-Rocca, che la maggior parte delle mansioni svolte in precedenza non sono più state affidate a loro, e «fotografie, articoli e immagini promozionali che testimoniavano il lavoro extra svolto dal personale di sala è stato occultato dal sito Internet della Fondazione e dalla relativa pagina Facebook». E da giugno è stato comunicato che le guide del sabato e della domenica, pagate dai visitatori con un sovrapprezzo, potevano essere tenute anche dagli stagisti universitari e dagli studenti in alternanza scuola-lavoro.
L’ultimo contratto delle dieci storiche dell’arte è scaduto a luglio. E per la mostra su Lichtenstein di settembre non sono state richiamate. La fondazione ha preferito esternalizzare la gestione dell’esposizione, affidandola a una cooperativa bolognese. Il sindacato ora ha impugnato l’ultimo contratto a termine e annuncia ricorso. «Sono lavoratrici esperte, che hanno lavorato per tutti questi anni con una passione e una professionalità incredibili», dice Francesca Benedetti. «Questo è solo uno dei tanti episodi che testimoniano la drammatica situazione lavorativa che coinvolge gran parte dei lavoratori che operano oggi nel settore dei beni culturali italiani».
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