Ci sono tante cose difficili nella vita, ma poche sono ardue come fare i noodle cinesi. “Fare”, si intende, non “cucinare”. Perché l’arte del noodle – che non è il nostro spaghetto e tantomeno la tagliatella – passa per un antico lavoro manuale, fatto di mosse studiate, provate e riprovate, in cui conta la forza (per l’impasto) e poi la velocità (per stenderli al volo). Il tutto in un esercizio che sembra ginnastica ma che è, per gli amanti della cucina cinese, arte.
Per imparare è semplice, anche se scomodo. Bisogna andare a Lanzhou, nel nordovest della Cina, città famosa per la sua zuppa di noodle alla carne di manzo e, come si scrive qui, per i negozi che la servono. Avere pasta ben preparata ogni giorno richiede la presenza di cuochi qualificati, cioè formati apposta per la pasta. E a Gansu Dingle Noodle School è lì per questo, con i suoi corsi (disponibili a tutti, non importa la formazione).
Qui gli studenti si misurano, prima di tutto, con la sorpresa: fare questa sorta di spaghetti è difficile. E il corso, in più, è impegnativo: tre lezioni al giorno per sette giorni su sette (niente domeniche, quassù). In ogni giornata si tira e stira l’impasto – fatto con ingredienti dell’Henan, che lo rendono più elastico – per oltre un centinaio di volte: si punta sulla ripetizione come unica arma di apprendimento (anzi, come segreto del mestiere) e si trascura la ricetta. Qui si impara facendo, non studiando.
Non è l’unica scuola, come è intuibile. (Questa, per esempio, è un’altra). Qui, oltre alla pasta, si insegna anche a fare alcune salse base, a trattare i sottaceti e a cuocere il manzo. L’occorrente, insomma, per la ricetta ufficiale della regione. E se una volta “venivano solo cinesi”, ora il numero degli stranieri “è aumentato”. Perché le rotte delle migrazioni culinarie, si sa, sono sempre imprevedibili.