Le nuove radicali della politica americana, un modello da seguire per la sinistra italiana (e non solo)

Mentre negli Stati Uniti il Partito Democratico presenta candidate giovani e radicali in Europa le donne alla guida di un partito sono (quasi) tutte di estrema destra. A sinistra invece, non pervenute

Il soffitto di vetro negli Stati Uniti forse inizia a scricchiolare. Quasi due anni fa, all’indomani della sua sconfitta contro Trump, Hillary Clinton si augurava che presto venisse sfondato.

Nemmeno lei probabilmente si sarebbe aspettata la massiccia presenza di donne alle elezioni di metà mandato del sei novembre, la più alta di sempre. Le candidate alla Camera sono 185, di cui 143 Democratiche, e sono ben 11 le sfidanti nella corsa per diventare governatore del proprio Stato.

Tra loro anche la prima candidata transgender, Christine Hallquist, democratica del Vermont. Certamente questo crescente impegno femminile e femminista in politica è il risultato dell’indignazione per il palese sessismo di Trump, ma non solo. Le donne che emergono da queste primarie sono infatti profondamente diverse anche dalla Clinton e dal suo partito. Sono giovani, radicali, socialiste, volti nuovi ed espressione delle minoranze, come Rashida Tlaib, candidata per la Camera in Michigan di origini palestinesi che potrebbe diventare la prima donna musulmana nel Congresso, o Sharice Davids, 38 anni, dichiaratamente gay e Nativa Americana, fino ad Alexandria Ocasio-Cortez, 28 anni, newyorkese di origini portoricane, fino a poco tempo fa cameriera in un ristorante messicano e ora indicata da qualcuno come “il futuro della sinistra americana”.

Una sinistra sanderiana, che non ha timore di definirsi socialista e allontanarsi dall’establishment del partito che con Hillary Clinton ha consegnato chiavi in mano la presidenza a Trump.

Se anche in Italia la sinistra ha l’abitudine di regalare le vittorie agli avversari, purtroppo non ha anche volti nuovi e femminili di cui vantarsi, se escludiamo Viola Carofalo di Potere al Popolo, mentre per quanto riguarda le esponenti del Partito Democratico sarebbe forse opportuno dedicare loro una puntata speciale di Chi l’ha visto?.

In Italia e in Europa infatti, curiosamente, le donne più radicalizzate e ai vertici politici ci sono, ma a destra, e pure quella estrema tendenzialmente

In Italia e in Europa infatti, curiosamente, le donne più radicalizzate e ai vertici politici ci sono, ma a destra, e pure quella estrema tendenzialmente. Senza andare tanto lontano da casa, Giorgia Meloni, per esempio, la più giovane ministro della storia repubblicana durante il quarto governo Berlusconi e prima presidentessa di un partito politico. Oltralpe c’è Marine Le Pen, capace di far raggiungere risultati mai visti al suo Fronte National, dopo averne scalzato dalla guida senza troppi complimenti il padre Jean Marie.

Spostandosi a est, in Polonia, la vicepresidente del partito Diritto e Giustizia ed ex Primo ministro è Beata Szydlo, antieuropea e anti immigrati, in linea con l’ungherese Orban, al quale ha dichiarato ispirarsi.

Kolinda Grabar-Kitarović è invece la prima presidente donna della Croazia e la più giovane nella storia del paese, esponente dell’Unione democratica croata (HDZ), il principale partito conservatore.

In Germania Angela Merkel rimane tra i pochi superstiti moderati, ma alla guida del partito nazionalista di estrema destra contrario, tra le altre cose, alle adozioni gay, c’è quella contraddizione vivente di Alice Weidel, 38enne, lesbica, madre di due figli avuti con una cittadina svizzera originaria dello Sri Lanka.

Mentre negli Stati Uniti, il giorno dopo l’insediamento di Trump, centinaia di donne si sono unite nella Women’s March a Washington e in tutte le principali città americane, in Italia sembra mancare quella coscienza comune capace di far assumere a una donna di sinistra la valenza di simbolo di una lotta condivisa, più forte delle divisioni interne che pur ci sono anche nei partiti di destra ma che vengono, quantomeno pubblicamente, superate.

Che il Pd oltre al nome aggiorni pure le sue fila e faccia emergere qualche brava esponente di sinistra dunque, non perché le donne siano garanzia di miglior gestione di un partito (peggio di così si può fare poco, ad ogni modo), ma per dimostrare che una sterzata verso il rinnovamento è possibile.

Non si pretende certo una nuova Nilde Iotti o l’Emma Bonino dei tempi che furono, ma forse, qualcosa di più della Boschi o della Madia ci meritiamo pure noi.

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