Il format della lacerazione racconta i rapporti interni al governo Conte come una guerra degli uni contro gli altri, e di tutti contro Tria, come se fossimo in un film western, a un passo dalla sparatoria finale che ucciderà i banditi e ristabilirà l’ordine infranto. Eppure, là dove l’occhio splatter dell’impressionista vede il disordine, la matita dell’architetto della comunicazione ha disegnato una strategia, nella quale ogni attore interpreta il ruolo assegnatogli dal copione del caos organizzato, e in cui tutto si tiene armonicamente, la strategia dell’auto opposizione.
È noto che il primo comandamento dello spettacolo della democrazia prescrive la necessità dei pro e dei contro, poiché senza dialettica non ci sarebbe nulla da raccontare e la politica tornerebbe alla preistoria della tribuna politica. Durante gli anni del berlusconismo i campi erano chiari, il Cavaliere stava da una parte e gli anti Cavaliere stavano dall’altra (anche nei talk show era facile farli sedere gli uni contro gli altri). Stessa cosa nella breve fase renziana, con il di più che il campo degli anti Matteo era trasversale, andava cioè dalla destra alla sinistra (lo schema preferito dei salotti televisivi è stato il tutti contro uno, ovviamente l’uno doveva essere uno del giro renziano).
L’avversario principale della maggioranza è la maggioranza stessa. Da qui a l’autunno, il nemico principale sarà il signor Giovanni Tria, il ministro dell’economia che dice le stesse cose che avrebbe detto il suo predecessore Pier Carlo Padoan. Nessuna casella del dissenso è lasciata scoperta. C’è l’uomo della continuità europeista. Chi gli si oppone con ragionevolezza. Chi con furore
Il governo grillo-leghista si trova, invece, nella situazione di navigare in una mare in cui l’attrito della parola contraria che viene dell’altra parte della barricata è piuttosto debole. Così ha creato un’opposizione agguerrita dentro di sé, un’opposizione che ogni mattina conquista le prime pagine dei giornali, finisce nei servizi dei telegiornali e poi negli approfondimenti di prima serata. Salvini contro Fico. Giorgetti smentisce Toninelli. Di Maio sfida la Lega. E così via.
L’avversario principale della maggioranza è la maggioranza stessa. Così come è della maggioranza l’uomo che risolverà il conflitto, ri-componendolo nel compromesso. Da qui a l’autunno, il nemico principale sarà il signor Giovanni Tria, il ministro dell’economia che dice le stesse cose che avrebbe detto il suo predecessore Pier Carlo Padoan, il professore che riceve i complimenti del commissario europeo Pierre Moscovici (“interlocutore serio e ragionevole”) e cerca di rassicurare agenzie di rating e mercati internazionali, facendo i conti alla maniera dei tedeschi. È l’uomo che incarna il senso di realtà. L’establishment interno. Appena annuncia che il rapporto debito/Pil nella finanziaria non supererà il due per cento, subito Matteo Salvini lo contesta dicendo che si andrà ben oltre. Mentre l’altro vice presidente del consiglio Luigi Di Maio è ancora più radicale e sostiene che il dogma del tre per cento debba essere addirittura superato. Fino ad arrivare in prossimità dell’insulto con il leghista Claudio Borghi, che ironizza: “Tria, ma di che parli?”.
Nessuna casella del dissenso è lasciata scoperta. C’è l’uomo della continuità europeista. Chi gli si oppone con ragionevolezza. Chi con furore. Chi sta preparando dietro le quinte la mediazione. Nessuno spazio vuoto per l’iniziativa di chi è dall’altra parte. Succede così su ogni questione. La nazionalizzazione di Autostrade è un imperativo per i Cinque stelle, molto meno per la Lega. La Tav non si deve assolutamente fare per i grillini, è invece una necessità per gli amministratori leghisti del nord. Persino sul tema dell’immigrazione, dove c’è la più alta percentuale di convergenza tra le due forza, una parte d’opposizione è lasciata alla fronda dei parlamentari vicini all’accoglienza della scuola Roberto Fico.
Il congegno funziona così bene che la minoranza che siede in parlamento è costretta, più che ad opporre una propria visione, a segnalare le contraddizioni nelle visioni di chi governa
Il congegno funziona così bene che la minoranza che siede in parlamento è costretta, più che ad opporre una propria visione, a segnalare le contraddizioni nelle visioni di chi governa. “Quale linea prevarrà?”. “Come si possono conciliare gli opposti?”. “Chi state prendendo in giro?”. È questo che rimprovera il partito democratico alla maggioranza.
Ma la dicotomia – che, certo, prima o poi potrà esplodere e frantumare l’esecutivo – per ora è solo una tecnica dello show: serve a tenere gli spettatori incollati al teleschermo fino al lieto fine del governarono felici e contenti. “De Mita e Craxi – ha detto Marco Minniti in un’intervista a Luca Telese su La Verità – litigavano ogni mattina, e poi si rimettevano insieme con un caminetto. A Di Maio e Salvini basta una chat su whatsapp: cambiano i tempi, ma la dinamica è la stessa”. Se vuoi la pace, dice un vecchio motto latino, devi preparare la guerra. Nello show democratico, invece, è sufficiente metterla in scena.