Scurati e Postorino non hanno capito nulla del fascismo. Armatevi di pazienza, e leggete direttamente Mussolini

Il bastone e la carota. Un libro stroncato e uno elogiato alla settimana. Le assaggiatrici e M. Il figlio del secolo sono pallosi e al limite del telegrafico. È più interessante leggere Lui, che i suoi scialbi cantori

Il bastone. Avrà 85 anni, è brillante, nonostante il busto – caduta casalinga, un paio di vertebre ammaccate – d’impeccabile eleganza, si vanta di due cose: il rapporto epistolare intrattenuto, per un decennio, con Licio Gelli e l’invito ufficiale a Maranello da parte di Enzo Ferrari. Oggi si fregia letterata, “ho sentito alla radio che è uscito un libro su Mussolini…”, mi dice, in estasi. A Riccione il Duce è venuto, per un ventennio – coincidente con il Ventennio – a fare le vacanze; in mezzo a tanti ‘compagni’ ci sono musi nostalgici: la signora – zitella di lusso – ha il Tricolore sul balcone di casa, non gl’importa degli scrittori odierni, ignora il curriculum di Antonio Scurati e non l’atterriscono le 800&passa pagine di M. Il figlio del secolo, anzi, è avida di altre 800 e di altre ancora, purché si parli del Dux. Prima riflessione banale. Se M. Il figlio del secolo romba in vetta alla classifica dei libri più venduti, il merito non è dei carati narrativi del libro – scritto male, l’ho già scritto altrove – ma della caratura del protagonista, Mussolini. Nonostante le limpide intenzioni dell’autore – “Questo mio romanzo su Mussolini è il mio massimo contributo all’antifascismo”, ha dichiarato a Il Libraio, foderandosi le chiappe con zinco politicamente corretto [nota stilistica: spero che il reiterato mio, “mio romanzo… mio contributo”, sia una svista editoriale, due possessivi non rinforzano l’ego, debilitano la personalità] – i lettori italiani, pare, sono fascistoidi. Seconda riflessione banale: se il libro su Mussolini – modesto gadget romanzesco sul monumentale tiranno – è il più venduto in libreria, quello su Hitler, Le assaggiatrici, di Rosella Postorino, si pappa il Campiello. Ricordo, di lato, che lo Strega è andato a La ragazza con la Leica di Helena Janeczek, ambientato durante la Guerra di Spagna, insomma, sempre in quel circuito storico siamo, sotto il tallone totalitario. Ergo: a livello popolare come ad altitudine intellettuale, letterariamente parlando, spadroneggiano i tiranni e i regimi, i fascisti e i nazi. Da allora, così pare, nulla di narrativamente degno è accaduto in questa fetta di mondo. Basti mirare le recenti celebrazioni: che scialba pagliacciata il Sessantotto rispetto ai terrori del ’38, con “le leggi per la difesa della razza”. L’esercizio geometrico che vi chiedo, però, è questo. Leggere sinotticamente, a specchio, M. Il figlio del secolo e Le assaggiatrici. Il secondo è più breve ma è privo di un contesto storico accettabile (non basta scrivere “Heil Hitler”, “stivali delle SS”, “mensa di Krausendorf” per evocare il nazismo: la scenografia pensata dalla Postorino ha sapore di polistirolo, vada, la ragazza, a studiarsi Thomas Mann); il primo, al contrario, è soltanto contesto storico, senza narrazione (ma al lettore frega nulla dei fatti al microscopio, altrimenti si legge un saggio storico, vorrebbe azzannare i testicoli del Duce, qui ridotto, in fondo, per mancanza di attributi romanzeschi, a sagoma di contorno: “C’è puzza di piedi. Lui si è sfilato le ghette, ha slacciato le scarpe, allentato la cinta dei calzoni e, in maniche di camicia, si è sprofondato nella poltrona. La sigaretta pendula nel mezzo delle labbra, alla moda francese, allunga le gambe sulla poltrona di fronte, ‘all’americana’, dice”). Ciò che accomuna entrambi i romanzi, piuttosto, è l’incapacità di dare senso e sostanza alla materia che si vorrebbe narrare. La Postorino non ha postura estetica, non sa scrivere, è al limite del telegrafico (“Mio padre era un ferroviere, mia madre una sarta. Il pavimento del soggiorno era sempre cosparso di rocchetti e fili di ogni colore. Mia madre ne leccava un estremo per inserirlo più facilmente nella cruna, io la copiavo”), imita Marguerite Duras, ma un conto è narrare gli amplessi con il proprio amante orientale, un conto dire di Hitler. Scurati, privo di stile ma non di scaltrezza, è soltanto palloso (e anche quando si eleva su ali epiche, non c’è verso, il suo Dux fa il verso a un Salvini qualsiasi: “Alle 11.05 del 30 ottobre millenovecentoventidue, nel momento in cui aveva salito le scale del Quirinale per ricevere dal re d’Italia l’incarico di governarla, Benito Mussolini, di origine plebea, zingaro della politica, autodidatta del potere, a soli trentanove anni era il più giovane primo ministro del suo Paese, il più giovane dei governanti di tutto il mondo al momento dell’ascesa, non aveva nessuna esperienza di governo né di amministrazione pubblica”).

Sintesi (evidentemente banale): l’oggetto narrato, titanico, ha cannibalizzato il narratore, nanerottolo. In un brano del libro, la Postorino racconta la volta in cui le assaggiatrici pasteggiano ad asparagi. “Quella sera, l’urina di Hitler puzzava come la mia”, arguisce Margot. Ecco, restando in tema, la minzione narrativa di Scurati & Postorino non puzza neppure, è inodore, indolore. Più che riconciliarci con la memoria storica, occorre riconciliarsi con la letteratura patria.

Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Bompiani 2018, pp.848, euro 24,00.

Rosella Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli 2018, pp.288, euro 17,00

La carota. Visto che ‘loro’ sono incapaci di raccontarlo, facciamo parlare Lui, è meglio. In Italia vige un’oziosa viltà: pubblichiamo quasi tutto di Adolf Hitler – per altro, pessimo scrittore – dal Mein Kampf (è in diverse edizioni) alle boriose Idee sul destino del mondo, relegando Benito Mussolini, sostanzialmente – cito i libri disponibili nel mercato on line, più recenti – al diario della Prima guerra mondiale e all’attività da baldo fedifrago (le lettere alla Petacci). Insomma, si censisce l’irrisorio, censurando l’oro, cioè l’attività governativa e letteraria del Dux. Mussolini, in effetti, fu scrittore di genio. Non lo dico io – leggo altro – ma Elio Vittorini, che oltre a scoprire, nei ‘Gettoni’ Einaudi, il talento di Beppe Fenoglio, Tonino Guerra e Giovanni Arpino, nel 1933, sul Bargello, restò stordito dalla Vita di Arnaldo redatta dal Duce, “ecco un poeta”, esultò l’Elio nazionale, “queste dieci pagine – è straordinario ma è così – mi ricordano le duecento del più bel romanzo, forse, di Tolstoj, del romanzo che s’intitola Infanzia”. Se Mussolini è bravo come Lev Tolstoj, perché nessun editore ci fa la grazia di ripubblicarla questa Vita di Arnaldo (che è poi l’orazione funebre sul corpo del fratello minore di Benito, Arnaldo Mussolini, giornalista, ideologo del fascismo, morto nel 1931)? C’è, poi, il resoconto dell’attività governativa di Mussolini, i suoi discorsi parlamentari, che si possono faticosamente sfogliare nel sito storico della Camera dei Deputati (storia.camera.it), ma di cui è impossibile risolvere il bandolo, sono una matassa di 2191 “Interventi e citazioni”. Alcuni affondi sono, col senno dell’oggi, strepitosamente attuali: ad esempio la risposta del Dux all’interrogazione intorno agli emigranti in America, del 16 maggio 1923, “…abbiamo avuto la grande soddisfazione di vedere il nostro Paese citato a titolo d’esempio fra tutte le Nazioni, come quello che aveva saputo inviare in America i passeggeri più desiderati. La percentuale dei respinti italiani è stata appena del mezzo per cento, mentre quella delle altre Nazioni ha raggiunto il 3, il 5, il 10 per cento e più”. Leggendo i discorsi parlamentari, per dire, si scopre che esisteva “tutta un’organizzazione di faccendieri” che speculava sui viaggi degli emigranti italiani negli Stati Uniti, che “sono sicuro si troncherà”, dice il Dux, anche “coll’andata in vigore della legge restrittiva americana” che limitava gli sbarchi. Come a dire, la Storia torna, in altro contesto geografico, a contrario, come un cibo mal digerito. Il 20 novembre del 1924 il Duce celebra la morte di Puccini (“In una clinica di Bruxelles, dove si era recato quando il male che lo affliggeva aveva assunto un corso inesorabile, è morto oggi il maestro Giacomo Puccini… la sua musica ha commosso molte generazioni, compresa la nostra; non può morire, perché essa rappresenta un momento dello spirito italiano”), il primo marzo del 1928 piange Armando Diaz, “Spirito Immortale”, “un degno continuatore di quelle gesta vittoriose che nei secoli esaltarono di fronte al mondo la stirpe italica”, il 21 maggio dello stesso anno si scaglia contro le “turpi belve umane” che a Milano “preparavano un attentato infame contro la sacra persona del Re, contro la solennità dell’ora, contro la Patria”. Continuate a smanettare voi. Il fatto è nudo e crudo: è più interessante leggere Lui, dal vivo, che i suoi scialbi cantori; fatti i debiti conti con il tedio, meglio avventarsi sui documenti veri, autentici, ancora caldi di Storia, che imbarcarsi nella loro brutta copia, distrattamente romanzata.

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