Tra flat tax e pace fiscale ormai è una gara a chi la spara più grossa

Mentre si discute di tasse piatte a più aliquote e condoni fino a cinque milioni non si parla più dei veri problemi da risolvere: la lotta all'evasione, la semplificazione e la riforma della giustizia tributaria

Stiamo vivendo una fase di immaginifica creatività in ambito di politica fiscale. Ogni giorno abbiamo la fortuna e il privilegio di imbatterci in nuove versioni della flat tax e della pace fiscale, mentre sono del tutto spariti dai monitor argomenti meno suggestivi, ma di centrale rilievo, quali lotta all’evasione, semplificazione e riforma dalla giustizia tributaria.

Come orientarsi in questo caleidoscopio di falsa informazione, messaggi subliminali e sfondoni giuridici?

Anzitutto la flat tax, teorizzata da Milton Friedman (ma la sua origine sembra risalire all’epoca dei Medici), non è un regime fiscale molto applicato all’estero, e comunque non lo è nei principali Paesi del mondo occidentale, in quelli civili, insomma. Esiste in alcune nazioni appartenenti all’ex blocco sovietico (in Polonia, Lituania ed Estonia per esempio), nonché in Russia. Fu introdotta dopo la caduta dell’impero sovietico, e alcuni studi iniziali sembravano dimostrare che questo sistema di tassazione avrebbe contribuito al rilancio dell’economia, ma poi in Russia la pressione fiscale è aumentata e in Slovenia la flat tax è stata abolita.

Dove invece l’imposta funziona benissimo è in Belize e nel paradiso fiscale di Trinidad e Tobago, dove è prevista al 25%, mentre i contribuenti dell’arcipelago polinesiano di Tuvalu si accontentano del 30%. Ma abbiamo anche altri edificanti esempi. Paradisi fiscali come Isola di Jersey, Isola di Guernsey, Seychelles; regimi autoritari come Kazakistan, Repubbliche ex sovietiche come Turkmenistan e Kirghizistan, Stati non riconosciuti come Transnistria, Nagorno Karabakh, Sud Sudan.

Senza dimenticare, poi, il possibile conflitto della “tassa piatta” – che piatta non è più, secondo le ultime ipotesi che prevedono tre aliquote – con le norme europee. Ma sul punto il governo, anche laddove percepisse il problema, tirerebbe sicuramente dritto.

E senza considerare, ancora, la mancanza di copertura che tutte le multiformi versioni della misura hanno avuto negli ultimi mesi. Secondo vari studi – seri e indipendenti – la falla nel bilancio dello Stato varierebbe dai 20 ai 100 miliardi di euro.

E allora ecco la “pace fiscale”, che altro non è se non un molto poco originale condono, che sconfessa clamorosamente anni di manifesti ideologici e attacchi feroci contro chi in passato aveva utilizzato quella misura a mani basse.

Ma anche qui il funambolismo è in agguato. Dalla definizione delle piccole liti, tesa a consentire ai piccoli evasori – che spesso lo sarebbero per necessità (?) – di riequilibrare il proprio rapporto col fisco, si è passati alla definizione delle liti di valore fino a un milione, e ora si ipotizza di allargare a quelle fino a cinque milioni! Insomma, la solita storia. Senza se, senza ma e, soprattutto, senza vergogna. Ma anche questo potrebbe non bastare, e allora mettiamoci comodi e aspettiamoci qualche altro lampo di creatività legislativa.

E la riforma della giustizia tributaria? Questa sconosciuta! Non sembra turbare nessuno la circostanza che le commissioni tributarie – definite da taluni vecchi commentatori “organi giurisdizionali da operetta” – siano composte da giudici non professionali, mal pagati, scontenti, mal formati, assunti senza concorso, provenienti, fra l’altro, da pensionati di Amministrazione finanziaria e Guardia di finanza

E dunque le nuove leve di esperti mettono da parte la lotta all’evasione fiscale, perché la flat tax porta l’effetto Laffer, di reganiana memoria, e quindi in fondo di evasione può anche non parlarsi più, se non per ipotizzare draconiani inasprimenti delle sanzioni penali, storicamente inutili, sia perché non dissuasivi sia perché, diciamo la verità, tranne veramente pochi disgraziati, molto mal difesi o molto sfigati, in Italia, in galera, per le tasse non c’è mai andato nessuno.

E la riforma della giustizia tributaria? Questa sconosciuta! Non sembra turbare nessuno la circostanza che le commissioni tributarie – definite da taluni vecchi commentatori “organi giurisdizionali da operetta” – siano composte da giudici non professionali, mal pagati, scontenti, mal formati, assunti senza concorso, provenienti, fra l’altro, da pensionati di Amministrazione finanziaria e Guardia di finanza. Né che le commissioni stesse, soprattutto, appartengano non già al ministero della giustizia bensì al MEF, che però, piccolo dettaglio, è una delle due parti in causa nei giudizi tributari. Roba da Terzo mondo, con rispetto parlando per il Terzo mondo.

E la semplificazione? Nel 2017 siamo, secondo la Banca Mondiale, al 126esimo posto, subito prima della Repubblica Domenicana e dopo il Kenya, ben lontani dal penultimo Paese dell’Unione Europea (la Bulgaria che galleggia attorno all’ottantesima posizione). Abbiamo un numero esorbitante di adempimenti, che ci porta via una quantità indegna di tempo. Paghiamo le tasse quattordici volte l’anno e un imprenditore passa, mediamente, 240 ore all’anno con il proprio commercialista.

Insomma, abbiamo sostituito il dibattito sui problemi seri e sulle soluzioni sensate con il circo equestre, buono per intrattenere ma non per mandare avanti famiglie e imprese, salvo le famiglie dei circensi, appunto.

*Partner Studio Fantozzi e Associati

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