Deve essere punito allo stesso modo chi aiuta rispetto a chi istiga al suicidio? È la questione sollevata dai giudici della Corte di Assise di Milano alla Corte Costituzionale, che ha deciso di rinviare il giudizio e ha invitato il Parlamento italiano a legiferare sul fine vita, concedendogli altri undici mesi, dopo i cinque anni già trascorsi da quando una proposta di legge di iniziativa popolare era stata depositata da oltre 67.000 cittadini attraverso l’Associazione Luca Coscioni.
Rimane incerto quindi il destino di Marco Cappato, il tesoriere dell’Associazione che accompagnò Dj Fabo in Svizzera, diventato il volto della lotta per l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia, che rischia dai 5 ai 12 anni di carcere per aver violato l’art. 580 del codice penale, introdotto nel 1930 con il codice Rocco: «Il codice penale italiano, per il reato di aiuto al suicidio, non prevede l’umanità, la compassione e la sofferenza. È questo il punto che priva maggiormente di tutela coloro che decidono di aiutare una persona», spiega Cappato, contattato da Linkiesta.
Lei ha definito la decisione della Corte di rinviare il giudizio a settembre 2019 “un risultato straordinario”. Non sarebbe stato meglio a questo punto che venisse dichiarata l’incostituzionalità della norma? Lei pensa davvero che una proposta di legge che è depositata in Parlamento da cinque anni verrà discussa nei prossimi 12 mesi, anche considerando la scarsa propensione all’ampliamento dei diritti civili dell’attuale governo?
La Corte non si è limitata a rinviare, ma è entrata nel merito. Ha rilevato che “l’attuale assetto normativo lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”. Le motivazioni usciranno tra 20 giorni, ma già possiamo dire che questa è una valutazione di illegittimità costituzionale dell’applicazione di un codice di 90 anni fa a casi come quelli di Fabo. Non è un rinvio neutro, è un rinvio con una motivazione che sospende il giudizio della corte di Asssise di Milano e dà undici mesi al Parlamento.
Quindi non si è deciso di non decidere
Appunto, c’è una scadenza. Se il Parlamento non interverrà la Corte sarà legittimata a intervenire direttamente. Io la trovo una soluzione molto saggia. Ci sono tutta una serie di procedure da normare, per esempio in quali condizioni si deve poter accedere all’assistenza medica per la morte volontaria, qual è il ruolo del medico, chi lo può fare, quali verifiche vanno fatte, cioè ci sono tutta una serie di procedure che saggiamente la corte vuole vengano stabilite durante un dibattito parlamentare. In caso contrario, la Corte sarà pronta a intervenire tra 11 mesi.
E dell’atteggiamento del Governo che dice?
Io non mi illudo che il Governo in quanto tale voti una legge per legalizzare l’eutanasia, ma il tentativo è anche stavolta quello di creare una maggioranza trasversale tra tutti i parlamentari che sono d’accordo. Io non escludo che ce ne siano nella Lega e in Forza Italia e sicuramente ce ne sono nel 5 Stelle e nel Pd. Sulla carta i numeri si possono trovare.
Un elemento di grande forza è che comunque nel contratto di governo, pur non essendoci scritto nulla sull’eutanasia, c’è nero su bianco l’impegno a trattare le proposte di iniziativa popolare. Questo sì mi sento di chiederlo al Governo in quanto tale.
Cosa si aspetta dal processo del 12 novembre a Massa dove è imputato per l’aiuto al suicidio di Davide Trentini ?
Formalmente il giudice può o rimandare gli atti alla consulta autonomamente, o sospendere la decisione o anche procedere con il dibattimento. Io sono imputato anche lì per istigazione e aiuto al suicidio. A Milano il Tribunale ha deciso che l’istigazione non c’era, a Massa non ancora. Quindi per il momento quel processo continua, così come continua la nostra azione di disobbedienza civile, noi non ci fermiamo.
Quali sono stati i momenti più difficili durante questi anni di battaglie?
Sul piano umano e personale, le maggiori difficoltà sono state quando ho sentito il rischio di non riuscire a dare quell’aiuto che mi si chiedeva: Fabo è stato coraggioso ma ha messo in pericolo la riuscita della sua scelta, era diventato una persona conosciuta, il rischio di essere fermati alla frontiera o anche prima era grande. La sua fiducia in me poteva metterlo in difficoltà e questo mi ha spaventato.
E politicamente quali sono state le difficoltà?
Due o tre anni fa eravamo completamente soli a chiedere al Parlamento di occuparsi di questi temi. Abbiamo passato nottate girando attorno al Parlamento con Mina Welby e i parlamentari ci guardavano come fossimo dei marziani, dicendoci che i tempi non erano maturi e non si sarebbero mai affrontati questi temi. Poi invece, grazie ai casi di Dominique Velati, Fabo e Davide Trentini, la forza di queste persone ha prodotto la legge sul testamento biologico e ora questa decisione della Consulta. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile, ma con l’ostinazione la situazione è cambiata.
Esistono secondo lei degli eccessi nell’eutanasia legale?
La necessità di legalizzare l’eutanasia è proprio quella di combattere l’eutanasia clandestina priva di regole e controlli. Secondo i dati Istat, in Italia ci sono circa 3mila suicidi l’anno di malati terminali. Magari molti di quei suicidi forse si sarebbero potuti evitare se l’eutanasia fosse stata legale, evitati fornendo assistenza sanitaria, psicologica, psichiatrica anziché proibizioni e minacce. È chiaro che l’eutanasia di per sé è una scelta drammatica, ma questo rafforza la necessita di regole. La questione dei minori del Belgio, ad esempio, è stata introdotta dopo 20 anni di applicazione della legge che riguarda alcune unità di casi che si erano verificati con delle regole ancora più restrittive: per poter accedere servono il parere unanime di un collegio medico, il consenso di entrambi i genitori oltre alla scelta del minore. Il Parlamento belga ha deciso di non girarsi dall’altra parte rispetto a situazioni che sono veramente casi limite e di non imporre una tortura a queste persone. Io penso che sia bene legiferare non in modo ideologico, cioè aprire spazi di libertà ma al tempo stesso anche rafforzare i controlli. In questo caso i rischi e gli abusi si riescono a contenere.
Pensa sia giusto far ricorrere all’eutanasia o al suicidio assistito anche una persona che soffre di depressione e non in stato terminale o affetta da patologie incurabili?
Rispetto alla sofferenza psichica sarebbero necessari procedure e controlli ancora più rigidi e restrittivi. Noi nella legge di iniziativa popolare depositata non lo abbiamo inserito, anche per lasciare la libertà al Parlamento di discutere questo tema. Quello che ci dicono gli psichiatri è che ci sono delle forme molto diverse di depressione. Alcuni sono curabili, la stragrande maggioranza, in particolare quelle che dipendono dai fatti della vita, trattabili sia farmacologicamente che con le terapie, ma esistono forme di sofferenza psichica di natura congenita che si rivelano incurabili, sono dei casi molto limitati ma in quei casi la sofferenza di quelle persone ha effetti fisici gravi.
Quindi?
In casi molto limitati anche questo dovrebbe essere possibile, ma con delle forme di controllo e criteri ancora più restrittivi. È fondamentale verificare che si tratti di persone al 100 per cento capaci d’intendere e volere. Questo è un punto molto più delicato da stabilire per quanto riguarda la sofferenza psichica. Però anche qui bisogna comprendere in modo non ideologico le situazioni che si propongono. Il Belgio, l’Olanda e la Svizzera hanno finora trattato queste situazioni con grande cautela e attenzione, i casi ammessi sono molto limitati e non si sono verificate quelle derive che tanti hanno paventato e quindi si è confermato il sostegno anche di opinione pubblica a quel tipo di leggi. Quei Paesi non sono mai tornati indietro infatti.
Quali dovrebbero essere secondo lei i confini, stabiliti dalla legge, per quanto riguarda l’aiuto al suicidio?
Penso che ovviamente dobbiamo considerare solo la scelta libera, responsabile e consapevole della persona. Le persone che possono essere in una condizione di depressione tale da essere completamente obnubilati non devono poter accedere al suicidio assistito. Ci vuole una posizione di lucidità, la capacità di intendere e volere, di reiterata dichiarazione di volontà nel quadro di una malattia irreversibile che provochi una sofferenza insopportabile, con una verifica da parte di medici di come il passare del tempo non possa che peggiorare la sofferenza che il malato vive come una vera e propria tortura. In questi casi deve essere possibile.
La ragione per cui è utile una legge è che ci sarebbero delle procedure che si sostituiscono al fai da te, è chiaro che se il Parlamento non fa nulla la Corte non può legiferare, può intervenire con una sorta di depenalizzazione . Dato che nessuno vuole che qualcuno si spari un colpo in testa, il coinvolgimento dei medici nel controllare le condizioni del paziente ed eventualmente permettergli l’auto somministrazione di sostanza letali in un contesto di legalità, con l’obiettivo di ridurre al massimo le sofferenza, deve essere possibile.