Cos’è il chindogu, l’arte giapponese delle invenzioni fatte apposta per essere inutili

Una forma di creatività contorta, che trova subito nel suo essere assurda e nuova la possibilità di criticare le regole e, al tempo stesso, attenersi con rigidità

Perché non inventare un rotolo di strisce stradali da svolgere o riavvolgere secondo la necessità del pedone? Oppure un paio di bacchette per il ramen con un ventilatore microscopico incorporato, che le raffredda appena prima che entrino in bocca? E poi un ombrello con portaombrelli attaccato, in modo da poterlo posare ovunque senza bagnare troppo in giro? Perché – sembrerà strano – tutte queste cose sono già state inventate. Funzionano alla perfezione, chiunque le potrebbe usare ma non lo fa, e il motivo è uno solo: l’imbarazzo.

Sono questi i principi del Chindogu, ossia le invenzioni inutili giapponesi, l’arte di creare cose che hanno una funzione ma che nessuno userà. Una forma di sfogo che trascina il colpo di genio in un’area dell’assurdo già stabilita. In un certo senso, l’addomesticamento preventivo della creatività.

Come spiega Kenji Kawakami, ex diettore del magazine Mail Order Life, per casalinghe di campagna giapponesi, e inventore del chindogu (a sua volta una invenzione chindogu), l’arte ha delle regole precise. In primo luogo, non deve avere la possibilità di un utilizzo reale: deve funzionare, e deve essere pensato per risolvere problemi del mondo reale, anche se poi nessuno mai lo adotterà. Deve poi essere costruito, assemblato: il chindogu deve esistere, essere toccato, e non ci si può fermare ai progetti o ai disegni del suo ideatore. In ogni caso, non potrà essere venduto né brevettato. E non potrà comunque essere un’invenzione offensiva né di propaganda politica.

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