Le parole più amare le ha pronunciate Tito Baldini, psicanalista che lavora a pochi metri dal palazzo di Roma in cui hanno stuprato e ucciso Desirée Mariottini: «Dobbiamo guardare in faccia la morte assurda di una sedicenne – ha detto a Flaminia Savelli di Repubblica – per trovare il coraggio di chiedere scusa e iniziare, insieme, a cercare un rimedio a tutto questo». I centri sociali e le femministe di Non una di meno, invece, non si sono poi tanto soffermati sulla cura più efficace per la ferita inferta.
Hanno preferito urlare al ministro dell’interno Matteo Salvini, recatosi in vista al quartiere, che è uno “sciacallo”, un lucratore di voti sul corpo di una povera ragazza, uno spietato manipolatore della violenza, attività certo più comoda del domandarsi come mai un fatto così atroce sia accaduto proprio nel quartiere più di sinistra della sinistra romana. Il quartiere, per capirci, in cui ci sono più luoghi occupati sotto il marchio di “un altro mondo possibile” che cinema e teatri.
«San Lorenzo è morto con quella ragazza», ha detto il professor Baldini: «Qui sotto ci sono fiori, lumini, striscioni, ricordi, telecamere. E poi? Tornerà il silenzio». Il silenzio, prima, è durato cinque giorni. L’ha infranto un uomo di origine senegalese che si è presentato in questura per testimoniare che Desirée è stata “drogata e violentata” da sei, sette persone di origine araba e africana.
Fino ad allora, la versione ufficiale era la morte per overdose. Una morte percepita come un effetto collaterale dello sballo giovanile, roba che non scandalizza le coscienze, nemmeno se di mezzo c’è una ragazza di sedici anni. Una morte più digeribile culturalmente e politicamente. Tanto è vero che lo stupro e l’omicidio sono stati rimossi nell’analisi dei fatti che ha fatto uno scrittore, giornalista e professore della sinistra radicale come Christian Raimo.
I centri sociali e le femministe di Non una di meno, invece, non si sono poi tanto soffermati sulla cura più efficace per la ferita inferta. Hanno preferito urlare al ministro dell’interno Matteo Salvini, recatosi in vista al quartiere, che è uno “sciacallo”.
“La repressione – ha dichiarato in un’intervista su HuffPost – causa la morte di Desirée“. Vi prego di rileggere questa frase: c’è tutta la fuga dalla realtà sua e di una parte della sinistra. Cioè. Un branco di uomini di origine africana e araba, occupanti di una palazzina che dovrebbe essere sgomberata da tempo e dentro cui invece si spaccia alla grande, droga, stupra e uccide una ragazza di sedici anni.
Eppure, la causa della morte sarebbe la repressione dell’uso libero delle droghe, della mancanza di un’educazione al consumo consapevole, dell’accompagnamento e dell’assistenza, tutte cose senza le quali, secondo Raimo, si generano i contesti che alimentano la criminalità, e perciò il pericolo di finire morti ammazzati. Sui libri di sociologia scritti male il ragionamento non fa una piega. Nella concretezza di un omicidio così brutale, invece, equivale alla de-responsabilizzazione delle persone in carne e ossa che hanno preso, drogato, violentato e ucciso Desirée.
“Salvini – ha scritto Christan Raimo – non è la soluzione: è il problema”. Gli abitanti del quartiere avevano un’idea meno filosofica del problema. Infatti, erano lì dietro ad applaudire il ministro dell’interno. Sperando che, dopo anni di denunce, qualcuno faccia finalmente qualcosa per risolverlo
Perfino Lauara Boldrini non ha fatto finta di niente e, rivolgendosi alla ragazza uccisa, ha scritto su Twitter: “Spero che chi ti ha fatto così tanto male la paghi cara e venga punito come merita”. L’assalto a Matteo Salvini come profeta del razzismo che verrà è la cosa più rassicurante possibile. Molto più difficile è domandarsi se una certa idea della tolleranza della sinistra radicale si sia spinta fino al limite di considerare vittime anche i carnefici che si presentano vestiti dell’abito dei discriminati. Ovvero, sono immigrati, poveri, disperati, perciò vittime per definizione. Qualsiasi cosa facciano. C’è sempre un’assoluzione pronta a essere formulata.
Una falsa tolleranza che Matteo Salvini rivela semplicemente recandosi nel luogo in cui si è consumato il delitto, accolto dall’urlo dell’ideologia uguale e contraria alla sua, bersaglio di accuse irreali (“Salvini – ha scritto ancora Raimo – non è la soluzione: è il problema”). Mentre molti altri abitanti del quartiere avevano un’idea meno filosofica del problema. Infatti, erano lì dietro ad applaudire il ministro dell’interno. Sperando che, dopo anni di denunce, qualcuno faccia finalmente qualcosa per risolverlo. Si spera che su un argomento del genere la sinistra (o le sinistre) abbiano qualcosa di concreto da dire.