Ottobre, il nuovo anno accademico è iniziato e per i nuovi arrivati all’Università non è stato semplice prendere serenamente una decisione sul proprio futuro. Cosa studiare e dove studiare sono domande che le promesse matricole italiane digitano sempre più spesso su Google nei mesi estivi, quando resta ormai poco tempo per iniziare un percorso di studi che durerà dai tre ai cinque anni. Il punto è che nella maggior parte dei casi la scelta del corso di laurea viene fatta senza possedere adeguate informazioni e molto spesso ci si affida ai consigli di “esperti”: parenti e amici. Ecco che si genera lo “skills gap”, termine inglese che indica la differenza tra le competenze ricercate dalle aziende e i profili professionali effettivamente disponibili sul mercato del lavoro. In Italia sfiora il 60% per alcune tipologie di laureati ed è per questo che in un Paese – il nostro – in cui la percentuale di laureati tra i 30 ed i 34 anni (26,9%) è la più bassa d’Europa – dopo la Romania (26,3%) – non c’è da stupirsi se le imprese intenzionate ad assumere personale qualificato abbiano difficoltà a coprire una posizione su tre.
Da qui nasce il Graduate Competitive Index (GCI) ideato da Talents Venture, società di consulenza specializzata in servizi di orientamento e sviluppo di soluzioni a sostegno dell’istruzione universitaria. «Si tratta – spiega Pier Giorgio Bianchi, amministratore e cofondatore della società – di uno strumento che rapporta la domanda di lavoratori qualificati ricercati dalle imprese italiane con i laureati in quella specifica area. In altre parole, è una misura che indica in modo intuitivo quanti posti di lavoro sono disponibili per ogni laureato o, al contrario, quanti laureati competono per uno stesso posto di lavoro». Questo perché sia il numero di laureati per ogni corso universitario, sia le assunzioni prese singolarmente non dicono tanto, e comunque non forniscono una visione completa perché i dati son presentati in termini assoluti. Il trucco è mettere in relazione le due misure ottenendo così una grandezza relativa, che indichi la capacità dei diversi gruppi di laureati di essere assorbiti dal mercato del lavoro.
A prescindere dalle singole specializzazioni, la Lombardia è la regione che riesce a trovare un lavoro al maggior numero di laureati: per ogni laureato del luogo sono previsti tre posizioni lavorative. All’estremo opposto si trova il Molise
Se si passa al setaccio, risulta evidente che in termini assoluti le lauree a indirizzo economico sono prime sia per laureati (48.953) che per assunzioni (136.580). Se si rapportano i due valori, poi, si vedrà che il numero di posizioni lavorative offerte dalle imprese italiane per i ragazzi che scelgono il percorso economico è quasi il triplo del numero dei laureati di queste facoltà. Ma per il GCI sono le lauree a indirizzo statistico che registrano il maggior punteggio con un rapporto di 4 assunzioni previste per ogni laureato: ciò significa che le posizioni lavorative previste nelle aziende per quest’ambito (oltre 7.500) sono di gran lunga superiori rispetto al numero di laureati (poco più di 1.300 l’anno). Al secondo posto si trovano le lauree a indirizzo ingegneria elettronica e dell’informazione, con 45.000 posti disponibili nonostante i nuovi laureati siano meno di 10.000. «In ogni caso – ribadisce Paolo Alberico Laddomada, account manager e cofondatore della società – non si vuole penalizzare né demonizzare questo o quel percorso di studio. È invece opportuno ribadire la dignità e l’importanza di ogni corso di laurea, qualunque esso sia. L’obiettivo del nostro libro (“Dall’università al lavoro”, ndr.) è offrire dei dati. Lo studente sarà pienamente libero di scegliere come usarli e formare, in autonomia, il proprio giudizio».
E per quanto riguarda lo skills gap nelle singole regioni? Secondo lo studio di Talents Venture è il Trentino Alto Adige la regione in cui si registra il maggior disallineamento di competenze per i laureati di alcuni indirizzi di Ingegneria, se si pensa che solo 12 residenti di questa regione hanno conseguito una laurea in Ingegneria Gestionale o Biomedica a fronte di una richiesta prevista delle aziende di quasi 500 unità. Opposto è il caso dei laureati in facoltà agrarie nelle Marche: solamente nell’anno passato si sono laureati in 230, mentre le aziende avevano dichiarato di cercare appena 10 professionisti con quelle caratteristiche. «Per gli studenti fuori sede – prosegue Andrea Audisio, analyst di Talents Venture e tra gli autori dello studio – è veramente importante poter conoscere quali sono i laureati più ricercati dalle aziende della propria regione, al fine di poter tornare a lavorare, qualora ci si voglia avvicinare a casa, nel proprio luogo di origine».
Uno studente della Sardegna, ad esempio, potrebbe trovare estremamente utile sapere che, nel caso voglia tornare a lavorare nella sua terra, dovrebbe considerare una laurea in Statistica, Ingegneria elettronica e dell’informazione, Ingegneria Biomedica o Ingegneria Gestionale
A prescindere dalle singole specializzazioni, la Lombardia è la regione che riesce a trovare un lavoro al maggior numero di laureati: per ogni laureato del luogo sono previsti tre posizioni lavorative. All’estremo opposto si trova il Molise dove, in media, le aziende locali prevedono di assumere soltanto un professionista ogni due laureati lì residenti. Ma dato che prendere in considerazione solo la residenza è riduttivo, specie laddove si “importano” studenti fuori sede, allora diventa utile calcolare anche un nuovo GCI, rapportando alla domanda di lavoratori richiesti dalle aziende, il numero di laureati forniti dalle università della regione di operatività delle imprese. Ancora una volta, è la Lombardia a conquistare la pole position. Con i suoi oltre 55 mila laureati, ogni anno fornisce all’Italia quasi il 20% dei laureati e anche in termini di prospettive occupazionali primeggia sul resto del Paese: i giovani neolaureati che si prevedono di assumere, infatti, sono quasi un terzo di tutti i laureati ricercati in Italia e 16 indirizzi di lauree su 20 la presentano come primo luogo di lavoro. È qui che si attrae il capitale umano più istruito d’Italia, assorbendo una quantità di laureati maggiore di quella che viene accolta complessivamente da altre 13 regioni d’Italia (Toscana, Sicilia, Puglia, Liguria, Marche, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, Sardegna, Abruzzo, Umbria, Basilicata e Molise).
Questi dati forniscono interessanti spunti di riflessione e, se interpretati in modo proattivo, aiutano a creare del valore. Uno studente della Sardegna, ad esempio, potrebbe trovare estremamente utile sapere che, nel caso voglia tornare a lavorare nella sua terra, dovrebbe considerare una laurea in Statistica, Ingegneria elettronica e dell’informazione, Ingegneria Biomedica o Ingegneria Gestionale. A parità di altri fattori esterni, potrebbe decidere di frequentare questi corsi nelle migliori università d’Italia, per poter avere maggiori probabilità di trovare lavoro nella propria regione d’origine. Allo stesso modo, per ipotesi, le università del Trentino Alto Adige potrebbero prendere in considerazione di iniziare ad offrire corsi ad indirizzo Chimico-Farmaceutico, visto che le imprese del luogo cercano circa 450 professionisti l’anno con questo titolo. Oppure al contrario, che i ragazzi con una laurea ad indirizzo Chimico-Farmaceutico nelle regioni dove la domanda di lavoratori delle imprese è minore dei laureati, siano disposti a trasferirsi altrove (ad esempio proprio in Trentino Alto Adige) per avere maggiori probabilità di trovare un lavoro. «Questi sono solo alcuni esempi – conclude Pier Giorgio Bianchi – analizzare i dati in modo strutturato e consapevole è fondamentale per allineare gli interessi di studenti, imprese ed università».