In Italia non nascono più bambini, e col reddito di cittadinanza andrà sempre peggio

Il tasso di fertilità aumenta nelle zone in cui il tasso di occupazione è più alto. Disincentivare la ricerca del lavoro da parte delle donne significa una sola cosa: sempre meno figli in un paese sempre più vecchio

Nel 2017 l’Italia ha battuto un nuovo record. Come spesso accade non si tratta di uno invidiabile. Siamo stati il Paese con meno nascite ogni 1000 abitanti, solo 7,6. Mentre nel 2008, prima della crisi erano 9,8 e superavamo la Germania, oggi siamo definitivamente ultimi. Anche rispetto alla Grecia, al Portogallo, all’Ucraina, ai Paesi che sono stati in condizioni economiche difficilissime.

Il peggioramento rispetto alla media europea e ai nostri vicini è evidentissimo: nel 2005 eravamo vicini alla media Ue, solo a 0,6 nati su 1000 abitanti in meno, oggi la distanza è di 2,3

L’esito di questa situazione è chiaro, un saldo naturale, ovvero la differenza tra le nascite e le morti, sempre più negativo, a -3,2 ogni 1000 abitanti nel 2017, contro un -0,1 nel 2008.
La cosa più curiosa è che ormai seguiamo un trend molto più simile a quello dei Paesi dell’Est, in particolare quelli messi peggio, i balcanici, che al trend del resto dell’Europa Occidentale. Siamo gli unici al di qua dell’ex Cortina di Ferro ad avere un tasso di crescita naturale così negativo.
E se a Est incide molto l’alta mortalità da noi il problema sono proprio le nascite.

Quando da molti anni il tasso di nascite rispetto alla popolazione è così basso, man mano diminuiscono le donne giovani che dovrebbero partorire e allora per risalire la chine ci sarebbe bisogno di un tasso di fertilità (il numero di figli per donna fertile) sempre più alto.
Peccato però che il nostro sia il minore d’Europa dopo quello spagnolo, solo 1,34 figli per donna nel 2016, in netto calo rispetto a quanto accadeva prima della crisi, quando erano 1,45.

Sono proprio le regioni con reddito minore, quelle del Sud, quelle con il tasso di fertilità minore. Agli ultimi posti ci sono Sardegna, Molise, Basilicata, Puglia. Ai primi Bolzano, Trento, Lombardia, Valle d’Aosta, Emilia Romagna. Questo non ci stupisce più ormai, sono passati i tempi in cui erano i più poveri ad avere più figli.
Quello che può meravigliare di più è il fatto che in realtà facciamo peggio di Paesi europei con redditi nettamente inferiori, come la Polonia, la Bulgaria, la Romania, la Lettonia, la Lituania, dove i tassi di fertilità si stanno riprendendo in modo deciso.

Cosa succede? La chiave è l’occupazione femminile. Guarda caso le differenze maggiori tra regione e regione in Italia riguardano chi ha 25 e 30 anni più che 35. Il tasso di fertilità tra le altoatesine 30enni è di 0,13 (0,13 nati da donne di 30 anni sul totale delle donne fertili), tra quelle sarde è meno della metà, 0,06. Si tratta dell’età in cui si riesce in Italia ad ottenere un posto più o meno stabile, e il tasso d’occupazione femminile del Nord è enormemente superiore a quello del Sud.

Il legame tra tasso di fertilità ed occupazione è ancora più evidente nei confronti con l’estero. Persino a paragone con la Polonia, Paese più povero, ma con tassi d’occupazione femminile decisamente maggiori. Del 42,7% tra i 20 e i 24 anni, contro il 24,3% italiano. Tra i 25 e i 29 anni si va dal 69,5% polacco al 49% del nostro Paese. E allora non stupisce che proprio tra chi ha meno di 30 anni il tasso di fertilità delle donne polacche sia superiore al nostro, nonostante i redditi inferiori. Divari ancora maggiori nei tassi d’occupazione, superiori ai 20 punti, si ritrovano nei confronti di altri Paesi dell’Est.

Il punto è che la famiglia può anche avere meno entrate, i genitori pensioni molto meno generose di quelle italiane, ma se si ha un contratto di lavoro, e ce l’ha anche il partner, è più facile pensare di poter avere dei figli. I livelli mediorientali di occupazione femminile nel nostro Paese non sono cosa d’oggi, era anche peggio in passato, quando per esempio negli anni ‘70 ed ‘80 erano costantemente al di sotto del 40% tra i 15 e i 64 anni. Non era colpa solo delle pensioni anticipate, ma anche del lavoro nero nell’agricoltura e nel commercio per le più giovani, della cultura che voleva la donna solo moglie e madre, senza capire che è proprio senza lavoro che è più difficile diventare un genitore.

Il problema è il nuovo clima sorto in Italia dopo la vittoria giallo-verde che mira a un ritorno a quei momenti, ai “magici” anni ‘80 la cui nostalgia sembra l’unico vero collante ideologico della maggioranza. Le maggiori rigidità del decreto dignità appaiono danneggiare più che proporzionalmente le donne, che saranno ancora più sfavorite, davanti alla prospettiva di una regolarizzazione obbligata più precoce si deciderà per meno assunzioni indispensabili ed è orribile dirlo, ma lo sappiamo, si preferiranno gli uomini, che non possono rimanere gravidi.

Lo stesso meccanismo potrà entrare in gioco con l’incentivo ad avere più collaboratori a partita IVA che dipendenti, grazie alla flat tax fino a un fatturato di 65 mila euro. Si stanno spingendo le aziende a dare fondo ai peggiori istinti, ad assumere meno persone, a discapito dei segmenti più vulnerabili tra cui le giovani donne. Anche di fronte alla sentenza della Consulta che rende incerti e probabilmente più onerosi i costi di un licenziamento, le imprese vengono provocate a concedere il tempo indeterminato solo a chi ha magari un lungo curriculum, molta esperienza. E considerando che è solo da pochi anni che le donne stanno emergendo come le più istruite, si tratta in gran parte di uomini.

C’è più o meno consciamente un leitmotiv in queste scelte messe in atto dal governo e dalla classe dirigente di questo Paese, in gran parte non a caso maschile. È appunto la nostalgia verso un’epoca in cui si trovava lavoro in pochi, quasi tutti uomini, ma nella quale questo lavoro era stabile e ben pagato, e in cui la donna in un certo senso “dipendeva” dall’uomo, padre o marito. È una nostalgia sempre più diffusa in Italia, anche da parte delle donne.
Il favore verso il reddito di cittadinanza proprio nelle aree in cui l’occupazione femminile è minore, altro non è che il tentativo di sostituire lo Stato nel ruolo di quell’uomo che prima manteneva la donna, oggi che la famiglia tradizionale è meno forte. E chiaramente di fronte a questa spinta sia culturale che economica proveniente dal reddito di cittadinanza l’incentivo per cercare faticosamente lavoro per le donne non potrà che diminuire. È una direzione opposta a quella che il resto d’Europa sta percorrendo, un passo del gambero, all’indietro, che con i danni che potrà portare all’occupazione femminile, non potrà che peggiorare la situazione demografica.

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