Gig EconomyIstituto Bruno Leoni: “I rider non sono lavoratori dipendenti”

La conclusione alla quale arriva l’Istituto Bruno Leoni, dopo un’indagine su mille rider di Deliveroo, entra a gamba tesa nella discussione sull’inquadramento contrattuale dei ciclofattorini del food delivery. Il prossimo appuntamento del tavolo al Mise sarà il 7 novembre

«I fattorini del food delivery sono lavoratori autonomi e si comportano e percepiscono come tali». La conclusione alla quale arriva l’Istituto Bruno Leoni, dopo un’indagine su mille rider di Deliveroo, entra a gamba tesa nella discussione sull’inquadramento contrattuale dei ciclofattorini del food delivery. Dopo due mesi di stop e le proteste dei rider, il tavolo di concertazione con aziende e sindacati al Ministero dello Sviluppo economico è stato riconvocato per il prossimo 7 novembre. Il vicepremier Luigi Di Maio avrebbe già incontrato le pricipali app. E c’è da scommettere che le aziende nel prossimo appuntamento rigetteranno ogni richiesta di assunzione dei fattorini come lavoratori subordinati, come i sindacati chiedono.

Dall’indagine dell’Istituto Bruno Leoni, condotta da Francesco Del Prato e Carlo Stagnaro, viene fuori che in media il salario orario di un fattorino di Deliveroo è pari a 12 euro l’ora. Ma come tutte le medie che si rispettano, c’è qualcuno che lavorando più ore guadagna di più, chi invece si trova ben sotto. L’impegno medio, in termini di orario di lavoro, resta comunque molto basso: 11 ore a settimana. E il rapporto di lavoro è molto breve: circa la metà non va oltre i sei mesi.

L’indagine traccia anche un ritratto dei fattorini. Quattro su cinque sono studenti. A seguire si trovano lavoratori dipendenti e autonomi che, consegnando pizze e sushi a domicilio, arrotondano un po’. Gli altri, tolta una piccola percentuale di giovani ricercatori o stagisti, sono disoccupati, alcuni alla ricerca di un nuovo impiego, altri del tutto scoraggiati. Il 56% degli intervistati dice di fare il fattorino per arrotondare uno stipendio non sufficiente, il 26% lo fa per soddisfare un bisogno contingente e il 9% sta cercando un altro lavoro, affidandosi nel frattempo alle consegne.

«Le scelte concrete dei fattorini ci restituiscono un’immagine di individui che non vedono nel rapporto con la piattaforma “il” proprio impiego, ma un’occupazione addizionale e prevalentemente temporanea, grazie alla quale possono meglio soddisfare i propri bisogni, compatibilmente con le proprie esigenze e nelle fasce orarie e nei giorni preferiti. In sostanza, si comportano da lavoratori autonomi», è la conclusione.

Le scelte concrete dei fattorini ci restituiscono un’immagine di individui che non vedono nel rapporto con la piattaforma “il” proprio impiego, ma un’occupazione addizionale e prevalentemente temporanea, grazie alla quale possono meglio soddisfare i propri bisogni, compatibilmente con le proprie esigenze e nelle fasce orarie e nei giorni preferiti


Istituto Bruno Leoni

Deliveroo, a sua volta, ha condotto un’indagine sui propri fattorini in merito alla percezione del rapporto con la piattaforma. E i risultati che ha diffuso la app sono in netta controtendenza rispetto alle voci di protesta dei rider alle quali siamo abituati: il 65% dice di essere soddisfatto, contro un piccolo 9% che dice di non esserlo. I fattorini, dicono dall’azienda, si dicono soddisfatti della flessibilità del lavoro, della possibilità di scegliere quante ore lavorare e di integrare le consegne a domicilio con altri lavori. Colpisce, però, il principale motivo di insoddisfazione di quel 9% residuale: “Non c’è abbastanza lavoro”. Ci sono fattorini, insomma, che vorrebbero lavorare, e guadagnare, di più. Tra le lamentele, si trova l’eccessiva impersonalità del rapporto con Deliveroo, i disservizi sulla app e il livello delle remunerazioni. Quanto alle tutele che vorrebbero avere, la maggioranza chiede assicurazioni, contributi previdenziali e copertura in caso di malattia.

Poi si arriva alla fatidica domanda: ma i rider sono autonomi o dipendenti? «A differenza delle risposte relative all’effettivo svolgimento delle proprie mansioni, rispetto alle quali i fattorini ragionano perlopiù come lavoratori autonomi, se posti di fronte alla possibilità di ottenere maggiori tutele sembrano adottare una logica da lavoratore dipendente», commentano dall’IBL. «I fattorini sarebbero disposti a rinunciare ad alcuni gradi di libertà che oggi vengono loro garantiti, ma in larga maggioranza (attorno o sopra il 60 per cento) non sono disposti a mettere in discussione la propria facoltà di decidere se e quando rendersi disponibili, di organizzare autonomamente il lavoro, e di rinunciare a una parte del compenso a fronte di maggiori tutele». In astratto, chiederebbero quindi più “diritti” tipici del lavoro subordinato (ferie, malattia) ma, se concretamente posti di fronte alla scelta tra la libertà dell’autonomo e le protezioni del dipendente, in maggioranza prediligerebbero l’autonomia, dicono dal Bruno Leoni.

La conclusione degli economisti è che «i fattorini godono della piena autonomia relativamente a quando e come lavorare, e pertanto non possono essere qualificati come lavoratori dipendenti, venendo meno il requisito dell’eterodirezione – ossia della subordinazione gerarchica. La tesi che quest’ultima sia oggi rappresentata dall’algoritmo di matching è di estrema fragilità, in quanto è in ultima analisi il rider a decidere non solo se rendersi disponibile in una certa fascia oraria, ma anche se accettare la singola corsa».

In vista del tavolo di contrattazione, quindi, la conclusione è netta. «I tentativi di inquadrare i rider nelle maglie del lavoro dipendente appaiono tre volte controproducenti», si legge nel paper. «La regolamentazione sarebbe incoerente con la natura stessa dell’attività delle piattaforme, priverebbe i lavoratori di quella che identificano come la principale fonte di attrattività del food delivery, e si tradurrebbe in una perdita di benessere sociale dovuta alla minore offerta di servizi di consegna del pranzo a domicilio». La proposta, in linea con quella delle aziende, è un’altra: «Occorre piuttosto ragionare su quali protezioni siano concretamente necessarie viste le caratteristiche del lavoro dei rider». Ma nel complesso, concludono, «non rileviamo ragioni cogenti – anzi, emergono numerose controindicazioni – per assoggettare la professione del rider a una disciplina specifica». La palla ora passa al prossimo tavolo del 7 novembre. E le posizioni sono tutt’altro che convergenti.

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