Prima è andato in onda lo stupore, poi l’incredulità. Nella trasmissione britannica QI, della Bbc, i candidati al quiz televisivo si sono visti fare la seguente domanda: “Ma avocado e kiwi possono essere considerati frutti vegani?”
La risposta (e qui sta la sorpresa) è stata no. Nonostante lo studio sembrava che stesse crollando, la presentatrice, Sandi Toksvig, ha spiegato che “in realtà non sono davvero vegani” perché, senza l’intervento delle api, specifica, “non potrebbero essere prodotti. E il modo in cui vengono impiegate le api in queste colture è, diciamo, contro natura”.
Serve un passo indietro. Forse non tutti sanno che avocado e kiwi (ma anche altri frutti diffusissimi) esistono grazie all’impollinazione delle api. E che, viste le dimensioni dei frutteti industriali, è necessario far venire api in più, trasportandole su grossi camion dalle loro sedi usuali. Si chiama “apicultura migratoria” (ad esempio è molto diffusa in California): le prendono in uno Stato, le portano in un altro, e poi in un altro ancora. Il viaggio, la costrizione e l’impatto del trasferimento incidono – è stato dimostrato – sulla durata della vita dell’ape, accorciandola.
Bene: è davvero sfruttamento animale, questo? La questione è complicata. Prima di tutto, serve capire se l’insetto, in quanto tale, valga come “animale”. O meglio, se le sofferenze inflitte siano davvero percepite come sofferenze. E sul fatto ci sono diversi dubbi. Secondo, da tempo le associazioni vegani “pure”, mostrano come sia impossibile che, nell’agricoltura – in particolare in quella industriale contemporanea – non si danneggino, in via indiretta, specie animali di vario tipo. È un dato di fatto. Può dispiacere, certo. Ma non deve distrarre dalla lotta, dicono. “Chi mangia carne userà questi argomenti per screditare la posizione dei vegani, dimostrando che non esiste un alimento 100% vegano”. E questo, anche se fosse vero, non “deve impedirci di far valere le nostre ragioni”.