Un direttore di una banca friulana, tale Gilberto Baschiera, dopo essere stato beccato qualche tempo fa ad alleggerire alcuni conti della sua banca ed aver perso il posto, nei giorni scorsi ha infine patteggiato con lo Stato una pena di due anni per appropriazione indebita e truffa. Quanti soldi si era intascato? Neanche un euro. Il milione di euro all’incirca che aveva fatto sparire dai conti dei più ricchi li aveva “ridistribuiti” verso alcuni clienti in difficoltà.
Più o meno nelle stesse ore, mentre il signor Baschiera patteggiava la sua pena con lo Stato, dall’altra parte esatta dell’Italia, a Riace, il sindaco Mimmo Lucano viene arrestato per aver gestito i fondi del comune in modo illecito e viene messo agli arresti domiciliari. Quanti soldi si è intascato? Neanche un euro. Quello che ha sempre fatto, ha dichiarato più volte, lo ha fatto per poter aiutare la sua comunità.
Due fatti recenti che c’entrano relativamente poco l’uno con l’altro, ma che sono uniti da un filo rosso che, negli ultimi tempi qui in Italia, sembra inspessirsi: una sempre più evidente supremazia delle regole, dell’autorità e della burocrazia sulla realtà, sulla libertà e sugli individui. La vittoria del legale sul morale e sull’etico: sia il banchiere friulano che il sindaco calabrese, infatti, così come i comandanti delle navi delle ONG che quest’estate sono state al centro della battaglia contro i soccorsi in mare del ministro dell’Interno Matteo Salvini, saranno pure colpevoli di fronte alla Legge — le hanno volontariamente disobbedito — ma agli occhi dei valori che quelle stesse leggi sono chiamate a difendere — umanità, carità, fratellanza e solidarietà — sembrano innocenti come agnellini.
I disobbedienti saranno pure colpevoli di fronte alla Legge a cui hanno volontariamente disobbedito, ma agli occhi dei valori che quelle stesse leggi sono chiamate a difendere — umanità, carità, fratellanza e solidarietà — sembrano innocenti come agnellini
Questa della lotta tra le regole e il mondo è una questione lunga come l’Umanità e, in un mondo come il nostro, sempre più dominato dal tifo e dall’opposizione netta tra ideologie nazionaliste e internazionaliste, tra una politica dell’apertura e dell’accoglienza e un’altra dei muri e della sorveglianza, sta emergendo forte, con tutte le sue contraddizioni. È giusto rispettare la legge quando questa legge non rispetta i nostri valori? Fino a che punto un cittadino può resistere alle leggi del proprio Stato se crede che queste siano in contraddizione con i valori che hanno battezzato la nascita dello Stato stesso?
All’inizio dell’epoca moderna, quando ai tempi della Rivoluzione francese vennero scritte le prime bozze della carta dei diritti dell’individuo, qualcuno ci pensò e lo scrisse, nell’ultimo dei 35 punti della carta: «Quando il governo viola i diritti della popolazione, l’insurrezione è, per il popolo e per ogni porzione di esso, il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri». Manco solo un diritto, dunque, ma persino un dovere, il dovere di essere cittadini politici attivi che, ogni qualvolta lo Stato sbanda, gli ricordano da che parte deve andare.
La verità è che la disobbedienza è un elemento centrale della vita democratica e civile di un paese moderno. È una dinamica decisiva della dialettica democratica perché, se si vieta la disobbedienza, si apre la strada alla rivolta. Con la disobbedienza si raddrizza ciò che la legge non ha ancora recepito. Insomma, come la dialettica classica ha bisogno dell’antitesi per arrivare dalla tesi alla sintesi, nello stesso modo la legge ha bisogno del gesto radicale di disobbedire per migliorare se stessa, perché con la disobbedienza si sancisce la libertà di dissentire, di criticare, di rifiutare l’adesione a un modello che non si condivide, e allo stesso tempo si afferma la possibilità di lottare con l’esempio piuttosto che con un fucile.