Non è necessario che i soldi siano monete e banconote. Potrebbero, in teoria, essere anche pere, o mele. O come avveniva nell’antica tradizione maya, fave di cioccolato. “Per loro le monetine, o i gioielli, non ebbero mai la funzione di merce di scambio”, spiega Joshua Repp Learn, autore di Science. “In origine usavano tabacco, pannocchie o vestiti”. E poi, col passare dei secoli (cioè dal 250 a.C fino al 900), anche cacao.
Proprio così. Gli studiosi lo hanno capito osservando affreschi e pitture. I ritratti degli scambi commerciali ritraevano, in molte scene, “il pagamento di tributi (o tasse) sotto la forma di pezzi di vestiti ricamati o borse su cui veniva indicata, con un’etichetta, la quantità di fave di cacao che contiene”.
Visto il valore immenso del cacao, non passò molto tempo prima che qualcuno provasse a contraffarlo. “Sono state trovate in diversi siti archeologici – sia in Messico che in Guatemala – delle fave di cacao che, in realtà, a una osservazione più attenta, si sono rivelati di argilla”, racconta l’antropologo Joel Palka.
E proprio al cacao, secondo alcuni studiosi, sarebbe da imputare la fine della civiltà maya. O, per la precisione, alla siccità, che ne ha ridotto la produzione. In questo modo, venendo a mancare il cacao, si è eroso nel giro di poco tempo la base del potere politico (e anche economico) di tutta la società. Meno cacao voleva dire meno soldi, e di conseguenza meno possibilità di condurre scambi e commerci. Un destino segnato per chi affida il simbolo del valore a un oggetto la cui esistenza dipende dai capricci della natura (a differenza dell’oro, che vale quel che vale anche perché è difficile da alterare nel tempo).