Raggi ha fallito, la politica è morta: ma commissariare di nuovo Roma è un’idiozia totale

L’assassinio di Desireé, le strade allagate, il rischio condanna: a tre anni dalla cacciata di Marino anche i Cinque Stelle sono stati mangiati dalla Capitale. Tocca alla Lega? Chissà. Ma chi parla di commissari non sa quel che dice. E sottovaluta la rabbia dei romani

Martedì prossimo saranno giusto tre anni. Nel 2015, di questi tempi, il governo di Roma veniva azzerato dopo una delle più spregiudicate operazioni mai viste nella politica italiana: le dimissioni in massa, dal notaio, dei consiglieri di maggioranza e di una parte dell’opposizione per determinare lo scioglimento dell’Assemblea e la decadenza del sindaco Ignazio Marino. Quel 30 ottobre è una data che va ricordata, adesso che Roma è tornata sotto i riflettori per un orribile fatto di cronaca (ma non solo), per capire in quale brevissimo lasso di tempo si siano consumate le aspettative e le speranze di cambiamento che aveva la città, e quanto devastante sia stato l’inganno dei partiti, tutti, nessuno escluso: le sinistre che fecero fuori un sindaco poco obbediente, le destre che si prestarono all’operazione, il M5S che ne raccolse i frutti salvo poi scegliere come candidato la più giovane e forse la più inesperta dei suoi dirigenti, Virginia Raggi, quella che dava maggiori garanzie di obbedienza.

Per un curioso accidente della cronaca, proprio intorno all’anniversario della cacciata di Marino si addensano una serie di scadenze e appuntamenti che potrebbero determinare il futuro della città. A Roma ritorna la protesta: sabato saranno in piazza, sotto il Campidoglio, una serie di realtà civiche messe in moto dal blog di denuncia “Tutti Per Roma” che da molto tempo lavora sull’indignazione dei quartieri con foto e testimonianze di degrado. La settimana successiva comincerà il countdown per la sentenza del processo al Sindaco: il reato è molto lieve, falso documentale, e confrontato con i precedenti scandali capitolini fa quasi ridere, ma il codice d’onore Cinque Stelle potrebbe imporre sanzioni in caso di condanna. Se non le dimissioni, il ritiro del simbolo grillino concesso in uso alla Prima Cittadina che si ritroverebbe sola, priva di coperture politiche, senza più un partito di riferimento. Poi, l’11 novembre, arriverà il referendum sulla messa a bando del trasporto pubblico – una consultazione che nessuno voleva tranne i radicali – e il solo fatto che si vada a votare sull’Atac, a prescindere dai risultati, è un duro colpo a chi non ha saputo risanarla dopo tantepromesse.

E ora che tutto è stato nuovamente ridotto in briciole i partiti cullano l’idea di una replica del 2015. Azzeramento in Campidoglio. Un commissario che decanti, tronchi, sopisca l’iradella città, annegandola nell’ordinaria amministrazione. Nuove elezioni e avanti il prossimo, magari uno della Lega, l’ultima forza sul mercato politico che non si è mai fatta un giro di potere a Roma

Insomma, tre anni dopo Marino siamo punto e a capo. Roma si è mangiata anche i nuovissimi e gli onestissimi. Se li è mangiati in modo diverso rispetto a quelli di prima, soffocandoli lentamente con la sua complessità, i suoi indecifrabili riti burocratici, i bandi che vanno deserti, gli autobus in autocombustione, le erbacce, le risate sugli alberi di Natale spelacchiati, il tramonto del sogno del nuovo stadio – il gigante a forma di Colosseo con vista mare – provocato prima dai talebani delle cubature e poi dall’inchiesta sui titolari dell’appalto. E ora che tutto è stato nuovamente ridotto in briciole i partiti cullano l’idea di una replica del 2015. Azzeramento in Campidoglio. Un commissario che decanti, tronchi, sopisca l’iradella città, annegandola nell’ordinaria amministrazione. Nuove elezioni e avanti il prossimo, magari uno della Lega: l’ultima forza sul mercato politico che non si è mai fatta un giro di potere a Roma (anche perché, fino a pochi mesi fa, in Campidoglio non aveva neanche un consigliere).​

Che geniale soluzione, che trovata! Sollevarsi dal peso del governo e dell’opposizione, aggiustare alla bell’e meglio gli affari cittadini senza l’impiccio della politica e poi rituffarsi in campagna elettorale, la specialità dei partiti italiani, tutti finalmente uguali al nastro di partenza anziché incatenati ai rispettivi ruoli. Non c’è una legge che lo impedisca. La democrazia è fatta anche di queste cose. E tuttavia la prospettiva fa rabbrividire. Ma davvero davvero, come si dice a Roma? Due volte in 36 mesi la stessa scorciatoia per eludere responsabilità e doveri? E pensate che la città possa ancora credere a chiunque proponga questo gioco come strada per il rinnovamento?

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