«Una sessantina di posti di lavoro, negozi e case riaperte. Con la fine del modello Riace, non rischia di essere cancellata solo l’accoglienza per i migranti, ma l’intera economia del paese, rinato con l’arrivo degli stranieri». Giuseppe Gervasi, vicesindaco e reggente del comune Riace, ora spera nel Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, che dovrà decidere sulla libertà del sindaco Mimmo Lucano, agli arresti domiciliari dallo scorso 2 ottobre. «Abbiamo fiducia nei magistrati», dice, «qui sono in gioco vite umane, posti di lavoro e il paese intero».
Con la revoca del progetto Sprar (Sistema di accoglienza per richiedenti asilo), Riace rischia di tornare a essere uno dei tanti borghi fantasma d’Italia. «Ma nessun migrante potrà essere deportato, non sarebbe legale», sottolinea Gervasi. «Siamo di fronte a esseri umani che sono legati a Riace. Chi lo desidera deve avere la possibilità di restare».
Nel paesino calabrese, come negli altri comuni italiani, grandi e piccoli – 1.200 in totale – coinvolti nel sistema Sprar, l’arrivo dei migranti ha rimesso in circolo l’economia locale. Oltre l’aspetto umanitario, con l’accoglienza programmata, i corsi di italiano e di avviamento professionale, c’è un indotto positivo che si muove. E con lo Sprar messo a rischio dal decreto sicurezza firmato Salvini, in Italia sono in bilico quasi 36mila migranti accolti e migliaia di posti di lavoro. La stima è che siano circa 10mila le persone occupate nell’accoglienza finanziata dal Viminale, tra mediatori culturali, assistenti, operatori sociali, psicologi e avvocati. Spesso giovani laureati, che altrimenti sarebbero andati via da comuni anche di poche centinaia di abitanti. Soprattutto nel Sud Italia, dove si conta il maggior numero di enti locali coinvolti nel sistema Sprar. In testa la Calabria (113), seguita da Puglia (93), Campania (87) e Sicilia (85) – anche se la prima regione per numero di posti finanziati resta il Lazio (4.467). Solo nella provincia di Lecce, hanno denunciato gli enti coinvolti, i posti di lavoro a rischio sono un migliaio.
Negli anni, il modello di Riace è stato imitato da centinaia di comuni, in Italia e all’estero. Da Sant’Alessio d’Aspromonte (Rc) ad Acquaformosa (Cs), comuni prima abbandonati sono risorti. L’accoglienza non è stata solo la salvezza per centinaia di migranti, ma anche l’occasione di rinascita di paesi altrimenti destinati a scomparire. I negozi hanno rialzato le saracinesche, la scuola e le case sono state riaperte, e tanti giovani hanno trovato un lavoro. «Solo qui ci sono in gioco una sessantina di posti di lavoro», dice il vicesindaco di Riace. «Madri e padri, ragazze e ragazzi del luogo che non sono andati via. Impiegati nei laboratori artigianali, nella gestione dei servizi come l’accompagnamento dei migranti in ospedale o in farmacia, e nei corsi di alfabetizzazione». Ma, continua Gervasi, «è un sistema economico che verrebbe meno: dalle attività commerciali, che ricevono dai migranti i buoni spesa che devono essere coperti con i fondi del ministero, fino alle case affittate e prima abbandonate dai riacesi emigrati». Senza dimenticare che la fama di “paese dell’accoglienza” che Riace si è guadagnata ha finito in questi anni per spingere molti turisti dalla marina fin su nel borgo.
L’accoglienza non è stata solo la salvezza per centinaia di migranti, ma anche l’occasione di rinascita di paesi altrimenti destinati a scomparire. I negozi hanno rialzato le saracinesche, la scuola e le case sono state riaperte, e tanti ragazzi hanno trovato un lavoro
Ora le casse del modello Riace sono a secco. Dall’avvio delle indagini a carico di Mimmo Lucano da parte della Procura di Locri, nel 2017, il Viminale ha smesso di erogare i fondi Sprar. La scorsa estate, il sindaco per protesta ha inagurato uno sciopero della fame, poi trasformatosi in una staffetta di digiuni. In due anni, il Comune ha accumulato oltre 2 milioni di debiti con i fornitori. Ora, il supermercato, la farmacia e gli altri negozi del paese che hanno accettato i buoni spesa in attesa dei fondi statali rischiano di non vedere più quei soldi; le case tornerebbero a essere chiuse, annegate in un mare di bollette non pagate; nella scuola non suonerebbe più alcuna campanella.
Lucano ha avanzato l’ipotesi di proguire con il “modello Riace” anche senza i fondi Sprar. Se il Riesame lo rimetterà in libertà, di certo ci proverà. O, se dovesse andar male, magari il vicesindaco lo farà per lui. L’ipotesi sul tavolo è anche quella di chiedere qualche finanziamento al presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, che più volte ha sostenuto Lucano nella sua battaglia. «Il modello potrebbe essere autosufficiente, magari con numeri inferiori, facendo fruttare i laboratori, il frantoio e la fattoria didattica, tramite la vendita dell’olio e dei prodotti», dice Gervasi. Con una casa, un lavoro e il permesso di richiedenti asilo, gli immigrati hanno il diritto di restare.
Ma le elezioni comunali di maggio 2019 incombono. Lucano, che alle spalle non ha alcun partito, è al suo terzo mandato e non è più eleggibile. Alle ultime elezioni politiche del 4 marzo a Riace oltre 60 voti sono andati alla Lega di Salvini. «Il vento in Italia sta cambiando», ammette Gervasi, «e molti anche qui salgono sul carro dei vincitori. Il modello Riace ha avuto così tanto successo perché l’accoglienza è nelle radici di questo paese. Ma tutto dipenderà dalla consapevolezza nella cittadinanza del fatto che la rinascita del paese si deve all’accoglienza dei migranti». Il sistema Sprar prevede che sia il comune a partecipare volontariamente al bando del Viminale per l’accoglienza programmata. «Dipenderà dalla volontà e della idee del prossimo sindaco», dice Gervasi. Intanto, però, come avevamo raccontato, in vista della prossima tornata elettorale a Marina di Riace hanno già messo su una piccola sede di “Noi con Salvini”.